Cannes 2009 - Visage - Concorso

Otto anni per chiudere un cerchio. Tanti ne sono serviti a Tsai Ming-Liang per portare a compimento quell’incontro tra Lee Kang-Sheng e Jean-Pierre Léaud che nel 2001, sempre a Cannes, in What time is it, there? (t.i. Che ora è laggiù) si materializzava solo metaforicamente, con il primo a Taiwan che guardava I 400 colpi (t.o. Les Quatre Cents Coups) mentre la protagonista femminile, a Parigi, si imbatteva in Léaud, il giovane Antoine Doinel nel celebre film di François Truffaut.
Oggi come allora il cinema del regista malese contiene in sé tracce molteplici. C’è la voglia di omaggiare una stagione tanto amata, come quella della Nouvelle Vague, ed uno dei suoi interpreti più importanti (splendida la sequenza in cui Fanny Ardant sfoglia un book fotografico con immagini di scena del film di Truffaut, subito dopo averne accarezzato il volto impresso in una fotografia), così come la volontà di appropriarsi di un regno magico (il museo del Louvre) per farlo vivere attraverso il proprio linguaggio e restituirlo sospeso, come accade in tutti i suoi film, trasfigurato in immagini di cui sembra impossibile decifrare il denso contenuto simbolico.
Visage, questo il titolo dell’ultimo lavoro di Tsai Ming-Liang, racconta (parola probabilmente inadeguata per la rarefazione narrativa cui ormai è giunto l’autore) di un regista di Taiwan chiamato a dirigere un film sul mito di Salomé all’interno del museo del Louvre. Nonostante non conosca né il francese né l’inglese, il protagonista di Visage decide di affidare la parte di Erode ad un attore transalpino (Jean-Pierre Léaud appunto) e quella di Salomé ad una modella (Laetitia Casta), così da presentarsi con qualche possibilità in più all’esame del box-office. L’imprevedibile realtà che si sprigiona sul set è ancora di più messa a dura prova dalla notizia della morte della madre del regista che sprofonda, così, in un sonno profondo da cui pare non riuscire ad emergere.
In questa ottica meta-cinematografica, Tsai Ming-Liang crea un universo dominato dal caos e dal disorientamento. Tutto ciò che troviamo all’interno della pellicola attiene al percorso fatto sino ad ora dal regista, ancora di più ne costituisce una summa sia in termini iconografici che puramente stilistici. Se I don’t Want to Sleep Alone (2006) aveva annullato di fatto le ragioni di un qualche sviluppo cronologico e lineare della storia portata sullo schermo, Visage procede in questa direzione estremizzando, se possibile, la scelta. La presenza di uno scenario imponente come il Louvre suggerisce probabilmente all’autore malese la possibilità di mettere definitivamente da parte le aspettative spettatoriali per concentrarsi solamente sui suoi incubi e sul suo mondo interiore. Così ogni sequenza si tramuta in dipinto, ritratto di una riflessione che pone il cinema al centro di tutto. Perché l’omaggio a Truffaut è lontano dall’esaurirsi solo con la presenza di qualche sua fotografia o di un attore come Jean-Pierre Léaud. L’omaggio si compie davvero e pienamente in ogni segmento del film, in ogni, apparentemente privo di logica, passaggio di dimensione. L’omaggio si manifesta sui volti di Fanny Ardant, Jeanne Moreau, Nathalie Baye e Mathieu Amalric. Perfino il corpo ed il viso di una Laetitia Casta (splendida e bravissima) che non siamo abituati a vedere al cinema, diviene nelle mani di Ming-Liang una evocazione da cui è impossibile non essere attratti. Nella sua macabra danza finale, abbinata alla tremante espressione di Lee Kang-Sheng, il regista regala uno dei momenti più alti del suo cinema, grazie ad una coscienza e conoscenza del mezzo che gli permette di cristallizzare delle sequenze, staccarle dal tutto che è la pellicola, e renderle affreschi osservabili senza mai stancarsi, con la chance inesauribile di rintracciare qualche nuovo significato rimasto sepolto.
Ancora una volta Tsai Ming-Liang lascia per strada chi osserva. La sua però non è né arroganza né presuntuoso cerebralismo. Semplicemente è il suo modo di dare vita ad una storia per immagini. Trasfigurandola, astraendola, violentandola con le proprie fissazioni visive (torna l’elemento circolare in più di una occasione). Per chi ama la sua poetica, Visage è una nuova occasione da cogliere, il segno di un cineasta che raggiunge, film dopo film, una nuova maturità.
(Visage) Regia, soggetto e sceneggiatura: Tsai Ming-Liang; fotografia: Liao Peng Jung; montaggio: Jacques Comets; musica: Roberto Van Eijden, Tang Hsiang-Chu, Jean Mallet, Philippe Baudhuin; scenografia: Patrick Dechesne, Alain-Pascal Housiaux, Lee Tien-Chueh; costumi: Anne Dunsford, Wang Chia Huei, Christian Lacroix, la Comédie Français; interpreti: Fanny Ardant (la produttrice - Erodiade, Laetitia Casta (la star - Salomé), Lee Kang-Sheng (il regista), Jean Pierre Léaud (Antoine - Erode); produzione: Jba Production, Homegreen Films, Le Musée du Louvre, Arte France Cinéma, Tarantula, Circe Films; distribuzione: Fortissimo Films; origine: Francia, Taiwan, Belgio, Olanda; durata: ‘141;
