Cannes 2010 - Uncle Boonmee Who Can Recall His Past Lives - Concorso
Ci sono registi il cui nome circola quasi esclusivamente tra gli addetti ai lavori o tra una risicatissima fetta di pubblico. Autori, cioè, che appartengono alla cinefilia più pura, i cui film difficilmente (in Italia meno che mai) trovano sbocco nell’uscita in sala. Apitchatpong Weerasethakul, nato a Bangkok nel 1970, è uno di questi. Il suo lavoro esula da quello dell’industria cinematografica tailandese e si è sempre diretto verso una indipendenza produttiva in grado di garantirgli la libertà creativa di cui necessita.
Le sue pellicole, spesso povere di mezzi, sono opere in cui il linguaggio cinematografico si fonda con elementi narrativi privi di linearità, spesso confusi da un simbolismo e un ricorso al dato metaforico incessante. On Uncle Boonmee who can recall his past lives non sfugge a queste caratteristiche. Al contrario, le esaspera sino a renderle pietre fondanti dell’intero racconto. La storia, semplice nei suoi elementi essenziali, mostra un uomo che sceglie di vivere gli ultimi giorni della sua vita (è affetto da una lunga e cronica malattia) nei luoghi d’infanzia in piena campagna tailandese. Qui, immediatamente, riceve la visita del fantasmi della moglie e del figlio (che ha perso le proprie sembianze umane) che gli “svelano” senso e significato, origine ed epilogo dell’esistenza.
È questo, probabilmente, il lavoro più intimo e spirituale del regista tailandese. La reale protagonista è l’anima, vista nei suoi tentativi di trasmigrazione, nei suoi viaggi tra passato, presente e futuro. L’anima che viene catturata e rubata nelle immagini (c’è in questo senso una profonda riflessione cinematografica).
Non è un film di facile lettura, ma questo si sapeva già. Si resta affascinati, in alcuni momenti, sospesi tra il dato visivo che comunque colpisce ed incuriosisce, e le fila di un racconto che appaiono ineffabili, imprevedibili e di cui è praticamente inutile rintracciare qualche consequenzialità. Ma bisogna essere onesti nello scrivere di cinema, per quanto ogni giudizio sia dettato esclusivamente da un senso critico legato alla propria soggettività, ed interrogarsi sulla natura di ciò che si vede e sulla sua reale capacità comunicativa. Cercare di capire davvero quanto ciò che scorre sullo schermo possa appartenere allo spettatore e quanto si risolva in un cerebrale gioco (a)narrativo, ed in parte è forse questo il caso, che nasce e muore richiudendosi su se stesso.
È complesso andare a capo di questa riflessione su On Uncle Boonmee who can recall his past lives, perché troppi sono gli interrogativi che alla fine rendono evanescente il ricordo di questo film nella memoria e che già durante la visione non permettono un giudizio concluso e definitivo.
A Cannes il presidente di giuria Tim Burton lo ha premiato con la Palma d’Oro. Di certo, in un concorso la cui qualità è stata abbastanza mediocre, il lavoro di Apitchatpong rappresenta probabilmente un qualcosa di differente. Noi ci chiediamo, però, se la diversità sia una caratteristica in grado di giustificare un tale riconoscimento.
(On Uncle Boonmee who can recall his past lives) Regia, sceneggiatura: Apitchatpong Weerasethakul; fotografia: Sayombhu Mukdeeprom, Yukontorn Mingmongkon, Charin Pengpanich; montaggio: Lee Chatametikool; scenografia: Akekarat Homlaor; interpreti: Thanapat Saisaymar (Zio Boonmee), Jenjira Pongpas (Jen), Sakda Kaewbuadee (Tong); produzione: Illumination Films Past Live Productions, Kick the machine films, Anna Sander Films, The match Factory; distribuzione: The Match Factory; origine: Tailandia; durata: 113’;