È solo la fine del mondo

Juste la fin di monde è una dramma corale claustrofobico che in quanto a urla se la batte con i decibel mucciniani. Tratto da una pièce teatrale di Jean-Luc Lagarce su una famiglia disfunzionale (piuttosto tipica) in cui ogni membro è sclerato a livelli madornali, assai superiori alla media. C’è Catherine, la moglie balbettante sempre zittita da tutti, Antoine, il marito potenzialmente violento che aggredisce ogni volta che respira, Suzanne, la sorellina piccola che si fa talmente tante canne che non le fanno più effetto, la madre iper truccata, isterica e concitata con sempre le castagne sul fuoco. Nella prima inquadratura Louis (Gaspard Ulliel), un riconosciuto scrittore, è sull’aereo: sta tornando a casa. La voce fuori campo, del suo personaggio, ci informa che torna dalla famiglia per comunicare ai suoi cari che sta per morire. L’arrivo è concitato (come poi sarà anche l’intero brevissimo soggiorno), anche i baci di saluto sono urlati uno sulla voce dell’altro, più che per emozione forse per sfogare l’accumulo di sentimenti derivanti dal vuoto lasciato del fratello, allontanatosi dalla casa avita dodici anni prima. In quel tempo sono cambiate tante cose: il padre è morto, il fratello maggiore si è sposato (Vincent Cassel con Marion Cotillard) e ha più volte figliato, la sorellina (Léa Seydoux) si è fatta donna ed è in conflitto con la madre Martine, (Nathalie Baye), sorridente e truccatissima, come una Matrioska dalla bocca a cuore color prugna e gli occhioni spalancati striati blu oltremare. Un circo Barnum di nevrosi ambulanti, tutta una recriminazione, polemiche sempre pronte, sfide verso ogni altro membro della famiglia, descritta con la criticità enfatizzata di un romanzo di Jonathan Franzen o uno psicodramma delle dinamiche familiari diretto da Jacob Levi Moreno. Sembra che ognuno dei personaggi attenda lo svelamento di un segreto come in un dramma ibseniano, invece il "figliol prodigo" Louis ascolta solamente, non gli viene lasciata quasi la voce né l’opportunità di parlare, incamera come un pungiball tutte le parole del mondo. Il film è stilisticamente addosso ai personaggi: la macchina da presa spinge i primi piani in momenti lunghissimi, tutto il tempo dello sfogo di ognuno, cerca le emozioni, trova le sfumature, i fremiti delle sopracciglia, i brividi epidermici, l’indecisione della linea delle labbra. La musica sovrasta le frasi, eccita i corpi, accompagna le prefigurazioni dolorose. Formalmente Dolan lavora di accumulo, conosce gli strumenti cinematografici, li mette in opera e alla prova spingendo i confini fuori dalla inquadratura, in una ricerca di senso ovunque sia in grado di arrivare: dice di aver scelto, con il suo direttore della fotografia, i toni del blu e del marrone e di aver virato a dei colori più acidi solo per i pochi flash-back. A fine pellicola si resta con una amara voglia di ballare e di silenziosa solitudine
(Juste la fin du monde); Regia: Xavier Dolan; sceneggiatura: Xavier Dolan adattato dalla pièce teatrale di Jean-Luc Lagarce; fotografia: André Turpin; montaggio: Xavier Dolan; musica: Gabriel Yared; interpreti: Nathalie Baye, Vincent Cassel, Marion Cotillard, Léa Seydoux, Gaspard Ulliel; produzione: Sons of manual, Mk productions; distribuzione: Diaphana; origine: Canada, 2016; durata: 97’
