Cargo 200

Il nuovo cinema russo, recentemente relegato solo nell’ambito dei festival, oltre a dar prova di essere caratterizzato da una vivace originalità, riesce ad essere profondamente fedele alla tradizione e, allo stesso tempo, a fondere le più diverse influenze del cinema contemporaneo. In pochi anni abbiamo assistito a prove notevoli di artisti russi emergenti, come Vyrypaev con lo struggente Ejforja, Lounguine con The Island e Serebrennikov, trionfatore alla Festa del Cinema di Roma con l’ottimo Playing the victim.
Cargo 200: ovvero le bare dei soldati caduti durante la guerra fra Unione Sovietica ed Afghanistan nella prima metà degli anni ’80. Cargo 200, ovvero gli ultimi passi verso il baratro di un sistema politico-economico che sarebbe collassato di lì a poco. Cargo 200, ispirazione per un film morboso, psicotico, disturbante. Ogni personaggio è costruito in modo tale da rappresentare il disagio di un imminente cambiamento. “Qui le cose cambieranno”, sosterrà il condannato a morte prima dell’esecuzione. Non si tratta solo della rassegnazione di un condannato, ma della certezza di un cittadino sovietico alla ricerca del Dio che gli viene negato.
Il lavoro di Balabanov non parla direttamente di comunismo, esattamente come il film Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes, 4 mesi 3 settimane 2 giorni. Il regista russo punta a raccontare una storia che ha per protagonista un poliziotto sovietico completamente folle, che rapisce una ragazza e, oltre a violentarla con bottiglie di vodka e farla violentare da altri individui, la tiene imprigionata nella sua casa fatiscente in cui vive con la madre alcolizzata e teledipendente. Diverse storie si susseguono in Gruz 200: le indagini di un professore universitario ateo, la follia di una donna che cerca di vendicare la morte del marito, un ragazzo che, pur sfoggiando una maglietta con la scritta CCCP, è palesemente rivolto verso la nuova Russia, quella del capitalismo, dell’influenza musicale occidentale, del crescente disagio giovanile. Piccoli esseri umani che zoppicano sul suolo di uno stato morente, sullo sfondo di una Leninsk quanto mai grigia e fumosa.
Chi sono questi individui? Anche se all’apparenza le vicende del film ruotano intorno a psicosi e vendette, ogni personaggio è disegnato in modo tale da rappresentare un tassello di un impero in totale disfacimento. Il lavoro di Balabanov non implica però riferimenti all’opera di autori come Alexandr Solzenicyn: il regista lascia la libertà di trarre le conclusioni che si credono. Appare tuttavia evidente la volontà di mostrare quel mondo disperato, quell’angoscia per le morti dei cittadini, quella falsità evidente di polizia ed esercito, quell’ipocrisia che genererà la vicenda, realmente accaduta, che diviene simbolo della violenza subita dal popolo in quasi settant’anni di regime sovietico.
L’alternanza di canzoni pop tradizionali e musica rock e punk, mette ancor di più in risalto i riferimenti al delicato passaggio di poteri. La madre del poliziotto osserva in silenzio un intervento in tv di Ligaciov, oppositore della Perestrojka di Gorbaciov. Alcune inquadrature insistite sul ferro e il fumo di Leninsk, soffocano, intrappolano. Brutalità e psicosi non sono solo i tratti di un regista che confeziona un lavoro violento e provocatorio mai fini a se stesse, ma quanto mai chiavi di volta per osservare, ormai da lontano, un mondo che non esiste più, ma che è ancora vivo nella coscienza del popolo russo. E rievocarlo aiuterà a comprenderlo.
(Gruz 200); Regia e sceneggiatura: Alexey Balabanov; fotografia: Alexander Simonov; interpreti: Alexey Serebryakov (Alexey), Leonid Gromov (Artyom), Yuri Stepanov (Mikhail), Agniya Kuznetsova (Angelika), Alexey Poluyan (Zhurov), Mikhail Skryabin (Sunka); produzione: CTB Film Company; origine: Russia, 2007; durata: 89’
