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Cathedrals of culture - Berlinale Special

Pubblicato il 13 febbraio 2014 da Giovanella Rendi


Cathedrals of culture - Berlinale Special

Se gli edifici potessero parlare, cosa ci direbbero? Se lo è chiesto Wim Wenders, che essendo stato uno dei numerosi biografi di una città architettonicamente piena di ferite come Berlino, gli edifici li ha osservati, filmati e di certo anche ascoltati. E ha coinvolto altri cinque registi di diversa fama e provenienza, lasciando loro la piena libertà di scegliere edifici più o meno famosi di tutto il mondo e dare loro la parola ognuno in un modo diverso. Non a caso da Berlino Wim Wenders comincia questo viaggio/dialogo, e con l’edificio della Philarmonie, progettata dall’architetto Hans Scharoun all’insegna di una architettura “organica” e rivoluzionaria che vede per la prima volta l’orchestra al centro della scena, e simbolo di una Germania della ricostruzione, come testimoniano le immagini dell’inaugurazione del 1963 e la presenza i Willy Brandt in successive immagini d’archivio. Il documentarista Michael Glawogger si insinua invece negli infiniti corridoi della Biblioteca Nazionale di San Pietroburgo, con i suoi enormi archivi cartacei in cui il tempo sembra essersi fermato ad un secolo fa, e in cui l’unica innovazione tecnologica sembra essere il computer di una studiosa su uno dei tavoli della sala di lettura. Il poco noto regista danese Michael Madsen (Into eternity, 2010), in quello che è probabilmente l’episodio più riuscito, sceglie di entrare nel carcere norvegese di Halden e riflettere sull’importanza di un trattamento umano e rispettoso nei confronti dei criminali. Robert Redford filma il Salk Institute for Biological Studies di La Jolla, in California, fortemente negli anni ’60 voluto dallo scienziato statunitense Jonas Salk, scopritore del vaccino contro la poliomelite, come centro di eccellenza della ricerca scientifica. La regista norvegese Margreth Olin dà voce (letteralmente) al Teatro dell’Opera di Oslo, sbirciando dietro le quinte degli spettacoli e filmando l’interazione dei passanti e dei curiosi con il bizzarro edificio. Per concludere, il regista brasiliano-algerino Karim Ainouz (anche in concorso alla Berlinale con il poco riuscito Praia do futuro), si muove tra gli spazi futuristici del Centre Pompidou di Parigi e riflettere sui diversi modi di utilizzo della struttura, paragonandola ad un aeroporto con passeggeri/spettatori continuamente in fila per un viaggio culturale.

È sempre interessante confrontarsi con una formula difficile e poco utilizzata come quella del film a episodi, ma purtroppo accade spesso che le aspettative vadano deluse, come è accaduto ad esempio con Deutschland 09, 13 kurze Filme zur Lage der Nation (sorta di Germania in autunno realizzato da 13 registi tedeschi e presentato alla Berlinale 2009) o Mundo Invisivel visto alla Festa del Cinema di Roma nel 2012 (che vedeva tra i partecipanti nuovamente Wenders, insieme con de Oliveira e Egoyan). In questo caso si può dire che le aspettative siano deluse per eccesso: la durata generale del film (156 minuti), la durata eccessiva di ogni episodio, l’uso del 3D (bello ma molto faticoso, sulla lunga distanza). Rischiosa è anche la decisione di “dare voce” agli edifici, affidando alla voice over un monologo in cui a parlare è di volta in volta uno dei luoghi, come fosse un essere umano, escamotage che rischia di essere un po’ ripetitivo, se non viene articolato su qualche altra idea, come il caso di Glawogger che un po’ prevedibilmente vi inserisce brani dei grandi della letteratura russa e non solo. Decisamente fuori registro è sembrato soprattutto l’episodio di Robert Redford, in cui gli scienziati che lavorano al Salk Institute dialogano invece idealmente con lo stesso Salk in immagini di repertorio ma il tutto, soprattutto a causa di una estetica a dir poco televisiva, sembra un enorme spot per arruolare ricercatori e donare fondi. A convincere di più è senz’ altro il viaggio all’interno al carcere norvegese di Madsen, un non-luogo fuori dal mondo che piange la sua solitudine nelle foreste ma reclama la sua necessità civica, e la cui voce è affidata alla vera psicologa della struttura. Un edificio architettonico non molto dissimile dagli altri, dove guardie e detenuti giocano a pallavolo insieme, si lavora, si può ricevere la famiglia in un mini appartamento separato e dove il prigioniero appena arrivato è accolto dal poliziotto con una stretta di mano.

Viene da chiedersi però se un carcere debba dunque essere inserito nella categoria piuttosto impegnativa di “cattedrali della cultura” e in che senso. Se dunque l’architettura viene considerata in senso molto ampio un trionfo della cultura sulla natura, altre opere dell’uomo e non necessariamente luoghi di arte o di scienza, potevano essere altrettanto interessanti. I palazzi del potere, gli ospedali, le scuole, i manicomi, le fabbriche.


CAST & CREDITS

(Cathedrals of culture); Regia: Wim Wenders, Michael Glawogger, Michael Madsen, Robert Redford, Margreth Olin, Karim Aïnouz; produzione: Neue Road Movies Production; origine: Germania, Danimarca, Norvegia, Austria, Francia, US, Giappone, 2014; durata: 156’


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