X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Censored Voices – Panorama Dokumente

Pubblicato il 8 febbraio 2015 da Giovanella Rendi

VOTO:

Censored Voices – Panorama Dokumente

Alla fine del giugno 1967 un giovane scrittore di belle speranze con già due libri all’attivo, decide di intervistare amici e conoscenti più o meno coetanei su recenti fatti politici che hanno coinvolto il suo paese. Niente di strano, si direbbe, è compito degli intellettuali fotografare lo spirito del tempo. Il giovane scrittore però è Amos Oz e l’argomento delle sue chiacchierate in vari kibbutz è la Guerra dei Sei Giorni, a cui lui stesso ha partecipato. Con un vecchio magnetofono si siede al tavolo con altri giovani che avevano partecipato al conflitto per chiedere le loro impressioni, non necessariamente aneddoti o ricordi, ma come si sentono, se riescono a dormire, cosa sognano, come vedono ora il futuro di Israele. Di tutto il materiale registrato l’esercito israeliano autorizza all’epoca la diffusione di solo il 30%, il resto rimane nell’ombra finché una giovane regista di belle speranze (la sua opera prima Israel Ltd ha avuto nel 2099 una buona diffusione), Mor Loushy, decide con la collaborazione di Amos Oz di renderlo noto. Si tratta di materiale esclusivamente audio, e la regista costruisce visivamente il documentario soprattutto con il materiale d’archivio: inevitabilmente le immagini sono prima di tutto storiche, spesso illustrative di determinate situazioni in quel momento oggetto del racconto. Si tratta di immagini, tuttavia, che pur se abbastanza note anche ad uno spettatore europeo, ancora non fanno parte di materiale colletivamente acquisito e “digerito” a livello iconografico, anche perché ben più vicino a noi storicamente di altre guerre. Il montaggio tuttavia è quando possibile evocativo e anche nella cronaca bruta riesce a scovare un particolare lirico o lo rende lirico l’incrociarsi su quelle voci. Voci che ora hanno un volto: Loushy ha ritrovato alcuni degli intervistati e li riprende attentamente mentre riascoltano le loro parole a quasi quaranta anni di distanza, mentre sorridono nel risentirsi giovani e contemporaneamente rabbrividiscono, rivivendo ricordi orribili come se fossero accaduti il giorno prima. Uomini ormai anziani, tra cui lo stesso Oz, dallo sguardo pensoso e addolorato, dai sorrisi tristi e saggi.
Ascoltando le loro testimonianze, non sorprende che il materiale sia stato allora censurato: accanto ai ricordi terribili che uniscono tutte le guerre (la visione del primo cadavere, i nemici uccisi da loro, la crudeltà mostrata da quelli che fino a poco fa erano allegri compagni di scuola, la paura e la pietà per il nemico) emerge un disperato sentimento non solo umano ma propriamente “storico”: buona parte degli intervistati (a caldo, dieci giorni dopo la fine del conflitto) pur ritenendo quella guerra l’unica forma di sopravvivenza per Israele e una forma di riscatto per la loro generazione rispetto a quella dei padri che ha combattuto nel ’48 e nel ‘56, la considera comunque un grande errore, soprattutto dopo la conquista di Gerusalemme, da loro vista non come liberata ma come occupata. E i profughi che scacciano dalle loro case e che subiscono in silenzio sono per loro come i loro nonni e genitori: vittime di una nuova shoah, di un atto ingiusto, di cui proprio loro, ebrei, non avrebbero dovuto macchiarsi. E tutto questo proprio nel momento in cui Israele si gode il suo trionfo davanti agli occhi del mondo, con i carri armati che sfilano, la gente che abbraccia i soldati, le bandiere sventolano e Moshe Dayan con la sua benda nera sull’occhio viene acclamato come un semidio.
Parole profetiche, quelle dei giovani soldati, perché prevedono anche un futuro fosco per il loro paese: quello è solo il primo round, al secondo il nemico sarà molto più crudele. Valeva la pena sacrificare vite umane per il muro del pianto? Con tutto il rispetto per il suo valore simbolico, risponde uno di loro, il muro è solo sassi, la vita degli amici morti vale molto di più. Altre voci “contro” di giovani, dissotterrate dal passato arrivano da un altro bel documentario, sempre della sezione Panorama, questa volta dalla Germania, e sono le testimonianze di un gruppo di studenti di chimica dell’università di Monaco che nel 1943, saputo della tragica conclusione della “Rosa Bianca”, hanno deciso di portare avanti la battaglia per la libertà dei fratelli Scholl e del loro gruppo. Poco si poteva fare all’epoca, tutto era punibile con la morte, ma sono riusciti a fabbricare altri volantini, inviare denaro alle famiglie degli arrestati (altro reato penale) e, come il famoso professore e premio Nobel Heinrich Otto Wieland, a continuare a far studiare gli studenti ebrei nei loro laboratori chimici, assumendosene personalmente la responsabilità. The resistors “their spirit prevails...” si affida efficacemente soltanto ai volti ormai rugosi delle sue protagoniste (quasi tutte donne nella vicenda), forse perchè le registe Katrin Seybold (morta durante la realizzazione del documentario) e Ula Stöckl oltre ad essere allieve e collaboratrici di Egdar Reitz, sanno perfettamente che in questo caso le immagini del nazismo sono diventate dei “supersegni”del paradigma del male assoluto che ormai hanno quasi perso il loro significato. Solo le foto d’epoca del giovane gruppo di cospiratori accompagnano i titoli di coda, sorridenti, spavaldi e incoscienti.


CAST & CREDITS

(Censored Voices); Regia: Mor Loushy; sceneggiatura: Mor Loushy, Daniel Sivan; fotografia: Itai Raziel, Avner Shahaf; montaggio: Daniel Siva; musica: Markus Aust; produzione: One Man Show, Made in Germany Filmproduktion; origine: Israele/Germania 2015; durata: 84’


Enregistrer au format PDF