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Closed Curtain - Concorso

Pubblicato il 12 febbraio 2013 da Giovanella Rendi

VOTO:

Closed Curtain - Concorso

Resta ancora vuota la sedia di Jafar Panahi alla Berlinale. Due anni fa, nominato presidente della giuria, non potè lasciare il suo paese e di nuovo oggi non ha potuto prendere parte alla presentazione del suo ultimo film Closed Curtain, presentato in concorso. È caduto nel nulla l’appello del portavoce di Angela Merkel ieri perchè l’Iran concedesse il visto. Fuori dal Berlinale Palast, attivisti mostrano la sua sagoma in cartone con su scritto “avrei dovuto essere qui”, mentre in conferenza stampa incontrano i giornalisti solo l’attrice Maryam Moghadam e il co-protagonista nonchè co-regista e co-sceneggiatore del film Kamboziya Partovi.

È un’assenza che pesa quella di Panahi, perchè ci ricorda che paesi non molto lontani non danno per scontati diritti che per noi sono acquisiti e che ancora si paga pesantemente per le proprie idee. Panahi, tuttavia, riesce comunque a far sentire la sua voce anche (e forse soprattutto) in absentia, realizzando film che sembrano essere lanciati come sonde spaziali dalla casa in cui è confinato e atterrare misteriosamente (e rocambolescamente) in giro per il mondo. È stato il caso di This Is Not a Film presentato al Festival di Cannes nel 2011, è così ora anche per Closed Curtain, con cui condivide peraltro numerosi elementi stilistici e narrativi.

Se si decide di focalizzare l’attenzione esclusivamente sul film, dimenticando chi è il suo autore e qual è il suo destino, Closed Curtain è prima di tutto un’opera fortemente connotata in senso simbolico. In una grande casa vediamo infatti nei suoi rituali quotidiani un uomo sui sessant’ anni e il suo cane: tutto sembra normale, ma poi i gesti dell’uomo si fanno sempre più allarmati ad ogni rumore esterno e mette tende nere alle grandi finestre per non farsi vedere da fuori. Il suo rapporto con il cagnolino ha la tenerezza di Umberto D. ma poco dopo la televisione annuncia che i cani sono considerati animali impuri dalla religione islamica, quindi vietati, e strazianti immagini di animali catturati e uccisi sfilano davanti agli occhi tristi del cagnolino prigioniero. L’uomo scrive continuamente su fogli sparsi e scrive di se stesso, di un uomo e di un cane chiusi in una casa. Due giovani, fratello e sorella, fanno incursione in casa per sfuggire ai misteriosi “loro” che li stanno cercando: il ragazzo promette di tornare presto e lascia la ragazza, che ha ancora le ferite sui polsi per il suo tentativo di suicidio.

Il mondo di fuori sembra affidato solo ai rumori: voci, sirene della polizia, grida di manifestanti, ma nel silenzio della notte anche il rumore del mare. L’uomo e la donna si scontrano e si disturbano in casa, lui deciso a chiudersi sempre di più nell’abitazione, lei pronta a strappare i drappi neri che coprono le finestre e soprattutto dei grandi drappi bianchi che, caduti, rivelano incorniciate le locandine dei film di Panahi, soprattutto Lo specchio (in italiano) e Le circle (in francese). Ed è improvvisamente lo stesso regista Panahi ad entrare in scena e unirsi a quelli che apprendiamo essere soltanto personaggi della sua fantasia, dialogando mentalmente con loro, più complice dell’intellettuale suo coetaneo, messo in difficoltà dalla ragazza che vorrebbe spingerlo a reagire e ancorarlo maggiormente alla realtà.

Cinematograficamente, dunque, Closed Curtain ci appare per quello che è, ovvero il messaggio nella bottiglia di un uomo prigioniero e vittima di depressione per non poter più lavorare: privo della (ormai criptica) capacità poetica di autori come Kiarostami e da sempre meritoriamente votato ad un realismo più coraggioso ma per forza di cose più didascalico, Panahi realizza un’opera in cui ogni parola, ogni gesto, ogni inquadratura assurgono a “grido di libertà” ma pensano come macigni.


CAST & CREDITS

(Closed Curtain) Regia: Regia: Jafar Panahi, Kamboziya Partovi; sceneggiatura: Jafar Panahi; fotografia: Mohamad Reza Jahanpanah; montaggio: Jafar Panahi; interpreti: Kamboziya Partovi (lo scrittore), Maryam Moghadam (Melika), Jafar Panahi (se stesso), Hadi Saeedi (il fratello di Melika), Azadeh Torabi (la sorella di Melika), Abolghasem Sobhani (Agha Olia); produzione: Jafar Panahi Film Productions, Teheran; origine: Iran; durata: 106’.


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