Concorso internazionale - I Padroni di casa
Ottimo ritorno alla regia quello di Edoardo Gabbriellini che a 9 anni dall’esordio con B.B. e il cormorano orchestra un noir corale dalle reminiscenze chabroliane, che bilancia la descrizione di un chiuso microcosmo di provincia italiano - come già La giusta distanza di Mazzacurati - con uno sguardo "europeo", probabilmente figlio anche della collaborazione con Luca Guadagnino, qui in veste di produttore, e della comune esperienza in Io sono l’amore, nel bene e nel male unico film ad aver penetrato la cortina di riviste prestigiose come Sight & Sound ed essersi imposto a Hollywood come uno dei film italiani piu’ attraenti per gli addetti ai lavori.
Gabbriellini tiene le fila di un soggetto difficile da gestire, in cui due fratelli romani, operai di una ditta di bioedilizia, si recano in un paese dell’Appennino tosco emiliano noto per aver dato i natali a Fausto Mieli, divo della canzone ormai lontano dalle scene da oltre dieci anni, per ristrutturare la terrazza della sua villa, una prigione d’oro dove l’uomo vive con la moglie Moira, costretta da un ictus su una sedia a rotelle. Un ingresso quello dei due cittadini nell’ambiente chiuso della provincia che ne altera i delicati equilibri fino a scatenare una xenofobia latente e un’escalation di violenza.
I padroni di casa possiede il fascino del film imperfetto capace pero’ di affondare le mani con coraggio nel suo materiale.
Chabroliano, si diceva, per lo studio attento sulle atmosfere della provincia, prossimo soprattutto all’ormai quasi dimenticato Il colore della menzogna, nel dipanare tensioni sotterranee pronte a innescare le reazioni imprevedibili di un detour che coinvolge tutti i personaggi, i cui destini vengono riannodati nell’acme drammatico finale, come in un altro bellissimo noir campestre di qualche anno fa, il folgorante esordio dello spagnolo Jorge Sánchez Cabezudo, La notte dei girasoli.
Il film di Gabbriellini ha in comune con la pellicola iberica la stessa fedeltà alla struttura del noir piu’ puro, quello di Ulmer, in cui ogni cosa è già scritta e il libero arbitrio è una pia illusione - come del resto dimostra il percorso di redenzione, continuamente fallito, dell’ex tossico di Valerio Mastandrea; e dall’altro il tradimento di un’ambientazione urbana intrinseca al genere per condurlo verso sentieri generalmente piu’ affini all’horror o al thriller, contribuendo a creare uno spaesamento cognitivo in cui i codici stilistici e tematici vengono rielaborati in un nuovo orizzonte.
La forza del film sta in effetti nel continuo slittamento tra familiare e non familiare, nel suo trasfigurare volti e paesaggi noti illuminandoli di una luce inaspettata e inquietante, come il lavoro compiuto su Gianni Morandi, emblematico dell’impostazione di Gabbriellini, che usa l’immagine rassicurante del cantante e attore per costruirvi un doppio malvagio (sulla falsariga dell’ - ancora chabroliano - Philippe Noiret di Maschere).
In attesa di vedere come sarà accolto dal pubblico di Piazza grande, certamente un film felicemente anomalo nel panorama italiano.
Regia: Edoardo Gabbriellini; sceneggiatura: Francesco Cenni, Edoardo Gabbriellini, Valerio Mastandrea, Michele Pellegrini; fotografia: Daria D’Antonio; montaggio: Walter Fasano; musica: Cesare Cremonini Stefano Pilia, Gabriele Roberto; interpreti: Gianni Morandi, Valerio Mastandrea, Elio Germano, Valeria Bruni Tedeschi, Francesca Rabbi, Lorenzo Rivola; produzione: First Sun, RaiCinema, Relief; distribuzione: RaiCinema; origine: Italia, 2012; durata: 90’