CONCORSO INTERNAZIONALE: LA NEAUVAINE

Ci sono ogni tanto dei film che riconciliano con le tante, troppe deludenti produzioni che l’instancabile macchina del cinema ci propina ormai quasi quotidianamente. Uno di questi é La Neuvaine, piccola perla comparsa in un concorso internazionale che finora non ha riservato molte sorprese, che ha il coraggio di affrontare temi come l’esistenza di Dio, il senso di colpa, la morte, il suicidio e lasciare nello spettatore una grande serenità. Senza voler convertire nessuno, il regista canadese Bernard Émond, ateo pieno di spiritualità e appassionato lettore di Pier Paolo Pasolini, é riuscito a realizzare con ammirevole equilibrio un film difficilissimo, data la “pericolosità” di alcuni argomenti, sempre a rischio di patetismo, se non di diventare fastidiosamente didascalici. Jeanne, un medico che sente responsabile della morte di una sua paziente (uccisa dal marito violento a cui lei aveva cercato di sottrarla) sta per suicidarsi lanciandosi in un fiume quando incontra François, un ragazzo orfano che si prende cura di lei per pochi giorni, il tempo di una “novena” (da cui il titolo), una preghiera a sant Anna perché faccia guarire la nonna moribonda. Dietro questo gesto non c’é solo la sua forte fede religiosa ma soprattutto una innata e semplice bontà che gli fa riconoscere immediatamente la sofferenza di una sconosciuta e curarla quantomeno materialmente con un cappotto caldo e qualcosa da mangiare. In cambio le chiederà, in quanto medico, di accompagnare la nonna verso una morte serena, assistendola con lui negli ultimi momenti di vita. “Per chi non é credente, é molto più difficile fare del bene, perché non ha la speranza” dice ad un certo punto la nonna a François: di fatto Jeanne non crede in Dio, anzi con lui ha un conto in sospeso per il figlio che ha perso prematuramente dopo quattro anni di sofferenza passati ad accudirlo. In lei non vi é alcun desiderio di conversione, la serenità della anziana donna e di François (quest ultimo quasi un contemporaneo Principe Myshkin) le dà conforto e forse le provoca una leggera invidia, o la nostalgia di qualcosa che forse aveva conosciuto nell’infanzia. Alla fine del film il suo rapporto con la religione non é cambiato, ma il suo sguardo disincantato sembra quantomeno aver perso l’amarezza e il suo viaggio spirituale si conclude con la richiesta al sacerdote di uno strano “chiosco di benedizioni” di pregare al posto suo per i vivi e per i morti. Dopo La femme qui boit presentato alla Settimana della Critica a Cannes 01 e che ha registrato un enorme successo in patria, Émond realizza un altro straordinario (e ancora migliore) ritratto di donna, sempre interpretato da Élise Guilbaut, affiancata da un cast di attori di provenienza teatrale, di notevole qualità e capace di una recitazione minimalista ma contemporaneamente piena di umanità. Sullo sfondo di queste “solitudini troppo silenziose”, il regista si muove con il consueto rigore stilistico tratteggiando uno scenario simile ad un quadro di Hopper (soprattutto quelli dedicati a quelle ville sul mare dove si immagina possano accadere le cose più orribili senza che nessuno lo venga mai a sapere) ma senza più la sua angoscia metafisica, anzi con una ritrovata speranza.
[10 agosto 2005]
Regia e sceneggiatura: Bernard Émond;
Fotografia: Jean-Claude Labrecque;
Montaggio: Louise Côté;
Musica: Robert Marcel Lepage;
Interpreti: Élise Guilbaut, Patrick Drolet, Denise Gagnon, Isabelle Roy;
Produzione: Corporation ACPAV;
Origine: Canada 2005;
Durata: 97’
