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Conferenza stampa di Bobby

Pubblicato il 20 gennaio 2007 da Fabiana Proietti


Conferenza stampa di Bobby

Dopo l’anteprima veneziana, dove, a post produzione non ancora ultimata, era stato presentato come un work in progress, arriva finalmente in sala la versione definitiva di Bobby, ultimo lavoro del regista-attore Emilio Estevez.
L’assenza dell’autore, rimasto negli Usa per problemi familiari, ha inevitabilmente condizionato l’andamento dell’incontro spostando l’attenzione da questioni prettamente tecnico-artistiche a quelle più umane, sociologiche e politiche su cui l’attore Christian Slater, interprete della pellicola e amico del regista, ha fornito interessanti punti vista.
E in fondo, benché Bobby sia un’opera esteticamente rilevante che richiama un’idea di cinema corale cara a grandi narratori dell’America contemporanea, quali Altman e (in tempi più recenti) Paul Thomas Anderson, l’emotività, la commozione che il film comunica, e che ha conquistato la platea di giornalisti presenti, sono gli aspetti su cui pare forse più giusto soffermarsi.

Un attore che si trova a prendere parte a un film corale, che affronta temi così importanti e toccanti, si sente investito di una maggiore responsabilità? Sente nascere un coinvolgimento emotivo e politico?

C.S. Quando Emilio mi ha contattato per il progetto mi trovavo a Londra e allora non sapevo di cosa si trattasse nei dettagli. Ma sapevo che Sharon Stone e Anthony Hopkins avevano dato la loro adesione e così ho subito accettato. Ma quando ho visto per la prima volta il film montato a Venezia mi ha emozionato e credo che questo sarebbe avvenuto anche se non ne avessi fatto parte, se lo avessi guardato come semplice spettatore. In un certo senso Bobby mi ha risvegliato da una sorta di torpore politico, mi ha ricordato quale tipo di candidato e di persona, vorrei vedere eletto alle prossime elezioni.

Bobby è ambientato all’interno dell’Hotel Ambassador di Los Angeles. Aver girato nei luoghi reali ha influenzato in qualche modo le riprese?

Abbiamo girato all’Ambassador prima che venisse demolito. Era strano girare l’angolo e tornare nel 1968, camminare nelle strade così com’erano all’epoca, è stato ricreato un intero mondo. In questo senso il potere del cinema è immenso e per un attore che si trova a vestire i panni di un uomo del passato è come avere a disposizione una macchina del tempo.
In più, il fatto che l’albergo teatro di quegli eventi stesse per essere demolito ci faceva respirare davvero l’aria della storia, del passato..la polvere del tempo.

Gli assassinii di JFK e poi di Bobby hanno spezzato il sogno di un’America migliore? Con la morte dei Kennedy quelle speranze si sono infrante?

Sì, in un certo senso è proprio così. Bobby è stato l’ultima grande speranza per un paese che facesse della compassione e della comunicazione due principi basilari del proprio governo. Forse solo con Clinton abbiamo rivissuto qualche barlume di quel modo di fare politica…

Nel film ci sono ben 22 personaggi. Come si lavora in un film corale? Il suo personaggio, tra l’altro, è ben poco simpatico. Non ha chiesto a Emilio di poterlo scambiare con un altro più edificante? O l’ha scelta appositamente per quel ruolo?

Essere attore significa anche allontanarti da te stesso, esplorare idee e sensazioni che non ti appartengono.
All’inizio in effetti ero spaventato dal mio personaggio (Slater interpreta il direttore delle cucine dell’hotel, Timmons, dalle idee bigotte e razzista verso i suoi dipendenti messicani, ndr.) ma mi ha dato modo di rappresentare quella parte della popolazione che non era necessariamente favorevole alle idee di Bobby.
E’un ruolo che contribuisce a rendere veritiera la vicenda, è importante tenere conto di certi atteggiamenti, presenti allora come oggi. In ogni story line c’è un’umanità diversa, sfaccettata. Non ci sono personaggi interamente negativi o positivi, ombre e luci sono dosate. Ogni personaggio ha un suo arco narrativo e il mio, ad esempio, nel corso del film impara a guardare le cose da una diversa prospettiva: si capisce nella scena in cui ascolta la partita dei Dodgers alla radio insieme a Josè.
Bobby era un uomo del popolo e questa struttura del film aiuta a comprenderlo meglio.

Individuando nella figura di Bob Kennedy e nei suoi ideali politici l’ultima speranza per un’America diversa il film sembra rappresentare le idee della Hollywood di oggi, il soft-power con cui si oppone all’attuale politica presidenziale…

Credo che Emilio meriti molti complimenti per aver gettato luce su una figura un po’ dimenticata come quella di Bob Kennedy, spesso oscurata dalla fama del fratello. E ammiro la scelta di aver riportato i suoi discorsi, specie quello in occasione del funerale di Martin Luther King, con parole così forti e toccanti da spingere a una seria autocritica soprattutto oggi.

La forza di Bob Kennedy stava infatti proprio in quei suoi principi quasi evangelici, evidenti nel discorso riportato nel finale. Crede che oggi la gente seguirebbe ancora quei valori?

Sì, penso sia possibile. Nel film abbiamo visto come, a volte, basti solo un uomo con cuore e idee.
E credo che contribuisca anche, come è successo a me, a far rinascere un ardore politico, tanto da impegnarsi più attivamente e concretamente. E’ importante imparare dagli errori del passato per non ripeterli.

La lavorazione di Bobby è stata piuttosto lunga. Ci sono stati problemi produttivi? Inoltre, non crede che un raffronto con la figura di Kennedy risulti più controproducente per gli attuali candidati democratici che non per gli avversari repubblicani?

Penso che l’unico problema produttivo riguardasse un piano di lavorazione per 22 attori. Spesso andando sul set non sapevo se ci sarebbe stato il tempo per le mie scene o no. Abbiamo seguito tutti l’esempio di Hopkins, che da grande professionista qual è, ogni giorno arrivava sul set e si teneva pronto per girare, quali che fossero le esigenze di Emilio. Non credo che il confronto possa risultare dannoso per i nuovi politici, perché ricordare è comunque la cosa più importante.

Nei titoli di coda si legge che alcuni personaggi erano ispirati a persone realmente coinvolte in quegli eventi. Quanto c’era di vita reale e quanto di ricostruzione, di fantasia? Avete avuto libertà nell’interpretazione dei vostri ruoli?

Emilio si è circondato di un cast di attori che stimava lasciando quindi loro molta libertà. L’atmosfera sul set era tranquilla e rilassata, io stesso ho trovato molti modi per “torturare” Freddy Rodriguez. E’ proprio il suo personaggio, che alla fine del film si trova a soccorrere Bobby, a essere ispirato agli eventi reali. Nel filmato di repertorio (che nel film viene montato insieme alla scena ricostruita, ndr) si vede Bob tenuto fra le braccia proprio da una di quelle persone in cui favore parlava.
Anche il personaggio interpretato da Lindsay Lohan è reale: ispirato a quello di una donna che Emilio ha incontrato durante la stesura della sceneggiatura e che gli ha raccontato quello che poi vedete nel film circa la story line dei due giovani sposi.

Il ’68 è stato un anno di speranze e repressioni. Gli omicidi di King, Bobby, la fine della Primavera di Praga (è significativo che nel film ci sia una giornalista cecoslovacca che vuole intervistare Bobby). Ma i problemi di cui questi grandi uomini parlavano sono ancora irrisolti. Gli stessi che applaudivano Kennedy hanno poi eletto Nixon: crede che quella generazione sia colpevole di aver lasciato cadere i loro insegnamenti?

Credo dipenda proprio dal clima di terrore che si è generato dopo questi attentati. E’ stato come se l’espressione libera delle proprie idee fosse diventato un rischio, un pericolo di morte.Lo stesso è accaduto dopo l’11 settembre, un’ondata di terrore e paura. In fondo si finisce per diventare ciò che si teme…

Nel film ci sono almeno tre ruoli femminili maturi. Ad Hollywood ci si lamenta sempre che per le attrici lavorare dopo i 40 anni sia estremamente difficile. E’ realmente così oppure è una polemica montata dai media?

Probabilmente è vero, non ci sono moltissimi ruoli. Ma non è nemmeno una situazione così tragica. In questo film Sharon Stone, Demi Moore e Helen Hunt sono eccezionali e in questi ultimi anni le interpretazioni meravigliose, spesso giustamente premiate, di attrici mature come Helen Mirren e Judy Dench dimostrano che i buoni ruoli ci sono.

Nel film Bobby è inquadrato sempre di spalle, interpretato da una controfigura. Come mai non si è scelto un attore vero e proprio? Il pubblico americano è stato tiepido nei confronti del film. Vi aspettate un’accoglienza migliore in Europa?

Questa è una domanda cui solo Emilio può rispondere. Ma non riteneva che ci fosse un attore adeguato per interpretare Bobby, abbastanza affascinante e carismatico. Così ha preferito mostrare il suo vero volto, far sentire la sua vera voce dalla tv, con i filmati dell’epoca. L’accoglienza europea è già stata positiva. Un giornalista a Venezia dopo la proiezione di Bobby ha detto una frase che ci ha colpito positivamente e che forse racchiude il senso e il messaggio del film: Questa è l’America che ricordiamo e l’America che ci manca


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