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Conferenza stampa di I demoni di San Pietroburgo

Pubblicato il 7 febbraio 2007 da Andrea Esposito


Conferenza stampa di I demoni di San Pietroburgo

E’ quasi commosso della calorosa accoglienza Giulio Montaldo, quando entra in sala per la conferenza di San Pietroburgo. A diciotto anni dalla sua ultima regia cinematografica (Il tempo di uccidere), il regista di Sacco e Vanzetti, Giordano Bruno, Gli occhiali d’oro e di numerose opere liriche, torna dietro la macchina da presa per un film su Fedor Michajlovic Dostoevskij. Le riprese andranno dal 19 febbraio al 21 aprile 2007, e saranno ambientate sia a Torino che a San Pietroburgo.

‘Oggi sembra di essere al giorno prima degli esami. In realtà, ve lo confesso, in questi anni ho pensato più volte di fare un film. Vera, mia moglie, sostiene di avermi più volte sentito nel sonno gridare ‘Motore!’…Il fatto è che cercavo una storia, e l’ho finalmente trovata nel libro di Paolo Serbandini.’

All’incontro partecipano: Giancarlo Leone (Vicedirettore generale della Rai), Elda Ferri (Produttrice per Jean Vigo) e Carlo Brancaleoni (Produttore di San Pietroburgo). Sono inoltre presenti in sala Steve della Casa e Paolo Serbandini.

Montaldo: ‘E’ una storia che ci ha emozionato, tutti. Riconosco che da parte di tutti noi c’è molto entusiasmo intorno a quest’impresa.
Siamo nel 1860 a San Pietroburgo, una città molto particolare, certo bellissima. Una città molto interessante, specialmente in quel periodo storico; molti all’epoca la definivano ‘artificiale’. Gli intellettuali ad esempio non l’amavano. E tutta la città attraversava poi un momento travagliato, colpita da attentati, percorsa da rivoluzionari e da gruppi che volevano rovesciare lo zar…
Un signore, Fedor Michajlovic Dostoevskij, va a trovare un ragazzo in una sorta di manicomio. E questo ragazzo gli dice che fa parte di un gruppo di rivoluzionari, e che sono stati loro gli autori di un attentato appena compiuto in città. Aggiunge che da quest’attentato lui si è dissociato e che è consapevole del passato di Dostoevskij, il suo passato da rivoluzionario, che ha letto i suoi scritti, che lo conosce. Il ragazzo chiede di cercare i terroristi e di fermare Alexandra. Così Dostoevskij si trova ad affrontare questa situazione di crisi: i terroristi, questa responsabilità che sente riguardo all’imminente attentato…e non sa se e come cercare di fermare questi terroristi. C’è il problema della sua malattia, l’epilessia, che si sta acuendo. C’è il libro che deve terminare, Il giocatore, che di giorno detta alla sua giovane stenografa, Anna, e che deve consegnare a breve al suo editore, altrimenti sarà rovinato.’

In questo film si parla di attentati, di terrorismo. E’ questo gancio all’attualità che le ha fatto scegliere questa storia?

‘Io vedo questo film come una riflessione sul ‘virus’ dell’intolleranza. Come già avevo fatto in Sacco e Vanzetti, o Giordano Bruno
Qui voglio parlare di un uomo che è costretto dagli eventi a fare i conti con il proprio passato. Un passato che ormai sente non appartenergli più ma che ugualmente ritorna. Volevo indagare il modo in cui il passato si può riproporre in termini ancora più drammatici.’

Quali sono gli spunti della storia d’amore che viene raccontata nel film, quella tra Dostoevskij e la sua dattilografa?

‘Beh, all’inizio non è certo una storia d’amore. Lui è preoccupato dai suoi problemi, è brusco, anche scorbutico. Lei invece è intimorita dalla sua fama e dai suoi modi. E man mano tra Dostoevskij e Anna si crea questo rapporto d’affetto che terminerà poi, come apprendiamo dalla biografia dello scrittore, con il matrimonio tra i due. Nel film si osserva appunto la nascita di questo rapporto complesso e molto intenso. Un rapporto che rivive eccellentemente nell’interpretazione di Miki Manojlovic (Dostoevskij) e Carolina Crescentini (Anna). Peraltro, vorrei ringraziare gli altri attori che hanno partecipato al film. Ad esempio è magistrale l’interpretazione di Herlitzka, che dà vita ad un eccezionale ispettore Pavlovic. Ecco, devo dire che ho sempre avuto la fortuna di lavorare con grandi attori…Noiret, Giannini, Volontè…’

Perché dopo tanti anni tornare al tema dell’anarchia?

‘No, forse non è precisamente il tema dell’anarchia. Forse è più quello del terrorismo. E’ un tema più ampio. I rivoluzionari inneggiano a Bakunin, certo, ma anche questa gente è manovrata, o manovra una manovalanza… Qui si parla soprattutto dello stato d’animo di un uomo di fronte alla rilettura del proprio passato e alla stortura di questo ad opera di altre persone. Quando al manicomio Dostoevskij incontra il ragazzo, questo gli dice che conosce le sue idee, la sua vita e il suo passato da rivoluzionario. E gli cita anche dei passi dei suoi libri, per avvalorare le sue tesi. Ma ora quest’uomo ha cambiato le sue idee, o ha affrontato nella sua vita degli stravolgimenti che l’hanno cambiato…si è trovato davanti ad un plotone d’esecuzione, stavano per sparargli ed è stato graziato un attimo prima che facessero fuoco. E’ stato deportato in Siberia, per quattro anni, condannato ai lavori forzati. Ora quest’uomo è improvvisamente costretto a riaprire quel passato…’

In qualche modo c’entra il pentitismo?

‘Non c’è pentitismo. C’è la storia di un uomo che ha passato la Siberia, che ha visto le canne dei fucili puntate su di lui, ha conosciuto la sofferenza dell’uomo in tante forme, e l’ha provata e la prova lui stesso, questa sofferenza, con l’epilessia di cui è vittima. Noi non vogliamo fare la biografia di Dostoevskij. Noi vogliamo fare un’ipotesi di stato d’animo.’

A me viene in mente Toni Negri, o Sofri. Voi ci avete pensato?

‘Sinceramente non ci abbiamo pensato mai.’

In cosa consiste l’attualità del film?

‘Prima di tutto nella follia del terrorismo.’

In definitiva, cosa vuole raccontare di noi, e di lei, con questo film?

‘Del problema delle scelte, del lungo travaglio in ciascuno di noi.’

Che ne pensi di quella ‘morte’ del cinema italiano di cui ha parlato in questi giorni Avati?

’E’ da quando ho iniziato a fare cinema che si dice che il cinema è in crisi. E noi abbiamo sempre fatto film con pochi soldi, ma con ottimismo. Il punto, semmai, è che ora cercano anche di rubarci l’ottimismo. Quello che manca, certo, come sempre, è il denaro. Manca l’investimento nella scrittura, non si investe…E questo rimane il primo problema.’


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