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Cronenberg: le teorie di Freud dimostrarono che il mondo non stava diventando un posto migliore

Pubblicato il 2 settembre 2011 da Giovanna Branca


Cronenberg: le teorie di Freud dimostrarono che il mondo non stava diventando un posto migliore

Venezia, 2 settembre 2011.
Quello che tutti vogliono sapere è quanto lavoro di documentazione sia servito per realizzare A Dangerous Method, rivisitazione cronenberghiana della storia d’amore che unì Carl Jung (Micheal Fassbender) e la sua paziente Sabina Spielrein ( Keira Knightley) . Alla conferenza stampa a Venezia ci sono tutti: Keira Knightley, Micheal Fassbender, Viggo Mortersen (Freud nel film) e l’acclamatissimo David Cronenberg. “La quantità di materiale a disposizione era immensa”, spiega il regista canadese. “All’epoca ci si scriveva anche dalle cinque alle otto volte al giorno, quasi come le email odierne. Nelle tonnellate di lettere che queste persone si mandavano a vicenda c’erano anche molti riferimenti e citazioni di ciò che dicevano o scrivevano in altre occasioni. Si tratta quindi di una mole di materiale gigantesca”. Ed infatti, Keira Knightley racconta: “quando sono stata chiamata per la parte mi è stato dato un grandissimo numero di libri da leggere, anche manuali di psicoanalisi”. E fa paura ad un’attrice interpretare un personaggio mentalmente instabile? “In quanto attrice sono ovviamene pazza – risponde la Knightley – ed è per questo che interpretare una persona folle è stato per me un gran divertimento”.
Diverso invece il modo di prepararsi di Micheal Fassbender: “la mia massima conoscenza di psicanalisi deriva da un libro che ho, che si intitola Jung for Children”, scherza l’attore. “Tutti conoscono i nostri personaggi, quindi mi sono concentrato sulla sceneggiatura che è bellissima, ha quasi l’andamento di un pezzo musicale”.
Ogni volta che si interpreta un personaggio che è una figura storica molte persone lo conoscono già bene – spiega Viggo Mortersen, il cui sodalizio con Cronenberg è ormai giunto al terzo film – per cui è molto importante essere diretti da qualcuno come David che ha una conoscenza pregressa e approfondita di questi personaggi, così che noi ci siamo sentiti a nostro agio con il materiale. Ma in fondo non si tratta di un esercizio accademico, non è un film documentario, ma un dramma. Sono interessanti le differenze di opinione tra i due personaggi; ciò che si impara dal film è che le loro idee non erano poi così diverse. La rottura dei rapporti tra Freud e Jung è stata frutto di una questione di orgoglio”.

E qual è invece l’attitudine nei confronti della psicanalisi vera e propria? “Il mio cast ha un grande bisogno di psicanalisi”, ride Cronenberg. “Erano degli incasinati senza speranza quando li ho trovati, e ora stanno un po’ meglio. Scherzi a parte, questo è un argomento immenso, ma ancora una volta ad essere importante è la ricerca. All’epoca del film c’era la credenza che l’uomo stesse attraversando un grande progresso e che il mondo stesse diventando un posto perfetto. Che gli esseri umani si stessero trasformando da animali ad angeli. Poi è arrivato Freud a dire che non era affatto così: postulò il concetto del subconscio, e questo fu un enorme svolta nella condizione umana. Poi arrivò la seconda guerra mondiale e solo allora si comprese appieno l’infondatezza delle convinzioni precedenti. Negli ultimi quindici anni gli studiosi sono tornati a Freud, perché le neuroscienze hanno dimostrato l’esistenza di una parte del cervello non accessibile ai pensieri consci. E’ come la possibilità di dimostrare le teorie di Einstein, che è un fatto altrettanto recente”.

Gli ultimi tre film di questo regista (A History of Violence, Eastern Promises e A Dangerous Method) segnano una svolta rispetto al suo stile del passato. A cosa è dovuto questo cambiamento? “Credo di aver cambiato solo la mia visione del modo di fare cinema, un tempo sperimentavo molto di più”, risponde Cronenberg. “La gente mi chiede se nel mio prossimo film ci sarà il tocco di Cronenberg, ma è una cosa che non esiste. Il film comunica, dice ciò di cui ha bisogno e io mi limito a darglielo, e questo è il mio unico principio. Giro solo il film che deve essere girato”.

Qualche parola Cronenberg la dedica anche al Festival di Venezia, che ospita in concorso A Dangerous Method. “Questo è il sessantottesimo Festival e quest’anno ho compiuto 68 anni. E il mio compleanno cade nelle idi di marzo, come il film di apertura”.


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