Crossfire Hurricane
Difficile raccontare ancora gli Stones, probabilmente la rock band più filmata e documentata, tanto più nella dimensione live, di cui Shine a light di Martin Scorsese, inevitabilmente chiamato in causa nel finale, rappresenta assieme a Sympathy for the Devil di Godard, il massimo punto di incontro tra cinema d’autore e musica rock.
Il documentario di Scorsese risulta anche a distanza di qualche anno un esempio di compenetrazione tra soggetto e suo autore, perché con i suoi tocchi perfetti e i movimenti studiati rende conto del processo di “accademizzazione” in atto tanto nel cinema scorsesiano quanto nel sound delle pietre rotolanti, inevitabilmente meno eversive degli esordi.
Crossfire Hurricane ripercorre invece le tappe fondamentali di una carriera folgorante, longeva malgrado la sregolatezza di esistenze che i bookmaker di rito davano in testa alle liste delle “dipartite più probabili”, come fanno notare a un imperturbabile Richards degli intervistatori, tra i tanti spezzoni inediti recuperati da Brett Morgen, per questa sua cavalcata che parte dagli esordi come cover band per arrivare, appunto, alla consacrazione del cinema scorsesiano.
In mezzo ci sono gli eventi noti più o meno a tutti, la rivalità costruita dai media con i “bravi ragazzi” Beatles, l’isteria delle platee di ragazzine inglesi sconvolte dal demone del rock (“se la facevano letteralmente addosso dall’emozione”, racconta Jagger) e le disavventure con la legge e la droga dei vari componenti, dall’arresto di Jagger e Richards alla morte, mai spiegata fino in fondo, di Brian Jones. E ancora il disastroso concerto di Altamont, con gli Hell’s Angels come bodyguard, da cui nessun altro forse si sarebbe risollevato.
Gli Stones escono dalle immagini di Morgen come un’araba fenice, capace di risorgere di continuo dalle proprie ceneri, di alimentare la loro musica grazie a una mitologia che si colora a tratti di dannazione, a tratti di simpatica cialtroneria. Certo, nell’era di YouTube Crossfire Hurricane non mostra grande inventiva dal punto di vista linguistico; non offre uno sguardo teorico come il contestabile ma pur sempre interessante Scorsese; né si sofferma su un evento particolare come lo Stephen Kijak di Exile on Main Street, indagine dietro la genesi di un album unico e inarrivabile sulla scorta delle fotografie in bianco e nero di Dominique Tarlé.
Il documentario di Morgen ha dalla sua una perizia tecnica che assembla questi materiali di repertorio con un ritmo trascinante, a cui il lento commento di Richards e Jagger, sempre in voice over come il nuovo standard documentario impone, offre un contrappunto quasi ipnotico. E dunque, sulla piacevolezza dell’operazione nessun dubbio, ma sulla sua natura sì. Morgen difetta di uno sguardo originale e personale sul tema scelto, che sembra in buona parte condizionato dalla produzione degli stessi Stones, sempre più preda di spinte agiografiche - tra nostalgia e product placement - rispetto alla propria carriera.
Ne resta un documentario d’archivio che ha gioco facile nell’attingere energia da un personaggio straordinario come Keith Richards: vero leader morale del gruppo, è anche la presenza cinematograficamente più vivida, in grado di reggere l’intera narrazione con gesta e dichiarazioni sregolate ma di una purezza infantile.
Regia e sceneggiatura: Brett Morgen; montaggio: Stuart Levy, Conor O’Neill; musica: Rolling Stones; interpreti: Mick Jagger, Keith Richards, Charlie Watts, Ronnie Wood, Bill Wyman, Mick Taylor ; produzione: Milkwood Films, Tremolo Productions; distribuzione: Microcinema; origine: Usa, UK 2012; durata: 111’; webinfo: Sito Ufficiale