Dalla vita in poi - incontro con regista e attori

Doveva uscire ad aprile maggio, ma poi 01 non ha voluto che si sovrapponesse a La nostra vita di Luchetti. Esce ora, ed è una commedia, Dalla vita in poi, dove c’è una storia d’amore al centro di tutto, e un paio di temi molto delicati sullo sfondo. Un amore particolare, con nulla di giovanilistico dentro, quello tra una ragazza affetta da distrofia muscolare e un ragazzo detenuto in carcere per omicidio volontario. Lei è Cristiana Capotondi, lui è Filippo Nigro, ormai abituatissimo ai toni da commedia, anche se il suo personaggio qui non suscita risate particolari. Insieme a loro recita una brava Nicoletta Romanoff, nei panni di una ragazza di periferia eccentrica e colorita. C’erano tutti e tre alla presentazione del film presso il cinema Quattro fontane di Roma, e con loro c’era il regista Gianfrancesco Lazotti. Abbiamo ascoltato le loro riflessioni e quanto ci hanno raccontato su questo film che ha vinto il Festival di Taormina e di Montreal e che esce il 19 novembre in 70/80 copie, ancora con certezza non si sa.
Cristiana Capotondi: Il film parla di un tema delicato come la distrofia muscolare, ma lo fa in chiave leggera. Non c’è pietismo, nè compassione. Già in sceneggiatura era questa la chiave del film, con una storia vera al centro di tutto. La storia di Katia, che ho conosciuto direttamente e da cui ho preso molto. Fino ad un certo punto, però, perchè poi me ne sono distaccata per costruire liberamente il mio personaggio. Il quale, nonostante la malattia, cerca di essere protagonista della propria vita, di essere felice, di avere, che mi si passi il termine, una vita normale. Ho cercato di raccontare una donna che vive un amore.
Gianfrancesco Lazotti: Non so quanto ci fosse di cinematografico nella storia che ho preso dalla realtà, so che da questa storia ho costruito due o tre ritratti che hanno molto di cinematografico. In un certo senso la storia di partenza è un pretesto, un contenitore, e infatti la malattia e la detenzione rimangono sullo sfondo. Del resto non volevamo fare nè un film di denuncia nè un film sociologico. Credo che gli attori abbiano capito questo presto e molto bene, e non è un caso che sia Cristiana sia Filippo hanno preso a Taormina il premio come migliori attori. Con le due attrici, poi, ho provato molto a lungo in una saletta di Cinecittà, ed è stato un lavoro molto utile.
Filippo Nigro: Ho avuto chiaro fin dall’inizio che il tema della detenzione fosse mantenuto sullo sfondo. In questo modo ho modulato il mio personaggio sui toni del film. "I sentimenti non si dicono, si provano", dice il mio personaggio, che ha un carattere introverso al di là di ogni discorso sociale. Il regista mi ha da subito tranquillizato, mi ha detto che il tono del film non doveva essere quello di uno spaccato nudo e crudo, ma dovevamo fare un film che emozionasse. Ho detto subito di si al film quando ho letto la sceneggiatura, tra l’altro avevo già lavorato con Lazotti molti anni fa per I ragazzi del muretto, ma lui non se ne ricordava.
Nicoletta Romanoff: Ho letto la sceneggiatura e l’ho apprezzata molto. C’era molto da recitare, nel senso che il mio personaggio ha poco in comune con me. Ma questo l’ho apprezzato molto, mi piace quando un ruolo ti costringe a compiere un lavoro di questo tipo. Anch’io ho incontrato Katia, ed ho notato subito che non si occupa solo di se stessa. Mi ha parlato della sua amica, che è poi molto simile al personaggio che interpreto nel film, quello di Rosalba. Che in qualche modo dipende da Katia, visto che quest’ultima ha una grande personalità, decisamente superiore a quella della sua amica. E così anche nel film Rosalba si appoggia molto a Katia. Le chiede dei consigli, si fida di lei, perchè è molto più bambina rispetto a Katia. Se Katia deve chiedere aiuto per essere spinta con la carrozzina, ricambia facendo in un certo senso da mamma a Rosalba.
Gianfrancesco Lazotti: Il film nasce dalla storia che Katia mi ha raccontato molto tempo fa. La conosco da molto tempo, ed ha anche collaborato con me in passato. Nella vita lei si è davvero innamorata di un detenuto, ma noi non volevamo fare un film su di lei, e quindi abbiamo fatto vedere poco la carrozzina, ed abbiamo fatto un lavoro robusto di drammaturgia. In fondo il film è una storia d’amore come ce ne sono altre, unica come tutte le storie d’amore. Nel film si cita Cyrano, perchè mi sembrava appropriato farlo. Per quanto riguarda la scelta di Nicoletta per un personaggio come Rosalba, io preferisco sempre che sia la recitazione a far venire fuori il carattere del personaggio, e che non sia la faccia verosimile a costruire una maschera. Non mi piacciono le maschere.
