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Dallas Buyers Club

Pubblicato il 30 gennaio 2014 da Giovanna Branca
VOTO:


Dallas Buyers Club

Non è una sorpresa che Dallas Buyers Club di Jean-Marc Vallée  sia dato – molto in anticipo sulla presentazione ufficiale delle nomination – come uno dei favoriti nella corsa agli Oscar.
La trama - tratta da una storia vera - è infatti quella che il cinema americano continua a raccontarci da decenni (benché dietro la macchina da presa ci sia un canadese): un uomo che riesce in una sfida eccezionale, impossibile. Addirittura, in questo caso, a sottrarsi, almeno per un po’, ad una sentenza di morte certa, comminata non da delle leggi ma dall’aver contratto l’AIDS in un’epoca – il 1985 – in cui la malattia a cui ancora oggi non è stata trovata una cura significava necessariamente un’aspettativa di vita brevissima e dolorosa.
Ron (Mathhew McCounaghey) è un elettricista di Dallas che vive in uno squallido appartamento in cui si intrattiene con alcool, droghe e prostitute, con la passione, come ogni texano che si rispetti, per il rodeo. E’ un esponente di quella categoria umana spregiativamente appellata, nel gergo statunitense, white trash. Almeno finchè non scopre di avere un solo mese di vita di fronte a se: un incidente sul lavoro lo fa finire in ospedale, dove i dottori scoprono che ha contratto il virus.
Il suo rifiuto di arrendersi alla morte, e l’impossibilità di procurarsi il farmaco sperimentale per curare l’AIDS che all’epoca si testava su delle cavie umane (l’AZT) lo porta a scoprire che delle persone al di fuori della Food and Drug Administration e delle cause farmaceutiche, che monopolizzano criminalmente il lucroso mercato delle cure contro “l’angelo sterminatore”, hanno trovato una serie di medicine e anche rimedi naturali molto più efficaci contro i sintomi letali della malattia. Inizia così il suo percorso di salvezza fisica e morale: l’incontro obbligatorio con il “diverso”, il transessuale Rayon (Jared Leto), che diventa suo socio in affari nella vendita ai margini della legalità di questi farmaci. E anche l’incontro con gli altri malati: tutte le sfumature possibili dell’empatia che condurranno Ron nella parabola da white trash a filantropo e attivista.
Dallas Buyers Club ci mette insomma davanti alla variante spirituale, quasi evangelica, dell’American Dream: quella della redenzione dal peccato e dell’approdo nella stretta cerchia degli uomini giusti come forma suprema della realizzazione individuale, raggiunta attraverso la scoperta degli altri e la completa abnegazione al proprio scopo, che cessa così di essere legato alla mera sopravvivenza. Lavorando soprattutto sulla difficoltà di una simile presa di coscienza in uno degli ambienti più intolleranti e bigotti del mondo intero: il Texas degli anni di Reagan.
E poi c’è un altro aspetto che caratterizza tanto cinema americano: la totale dipendenza della storia da delle grandi performance attoriali, il film interamente costruito sul lavoro dell’attore. In questo caso di due: sia il protagonista Matthew McCounaghey che il coprotagonista Jared Leto. Entrambi perdono decine di chili per questo film, con la dedizione al ruolo che tanti Oscar ha fruttato alla categoria; ma soprattutto entrambe le performance sono straordinarie. Atto d’accusa contro l’omofobia e la prepotenza criminale delle case farmaceutiche, Dallas Buyers Club è una storia edificante e un po’ politically correct che sconta forse l’essere un po’ troppo simile a tante altre già viste sul grande schermo, pur regalando un momento di più che buon cinema a questa ottava edizione del Festival del Film di Roma.


CAST & CREDITS

(Dallas Buyers Club) Regia: Jean-Marc Vallée; sceneggiatura: Craig Borten, Melisa Wallack; fotografia: Yves Bélanger; montaggio: Martin Penza; musica: Danny Elfman; interpreti: Matthew McCounaghey (Ron Woodroof), Jared Leto (Rayon), Jennifer Garner (Dr. Eve Saks); produzione: Truth Entertainment Voltage Pictures; distribuzione: Good Films; origine: Stati Uniti; durata: 117’.


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