Diary of the dead

Non sono mai stati solo zombie quelli di Romero. In quei corpi ciondolanti e nella metafora del morto che ritorna in vita si legge chiaramente la carica eversiva nascosta. Una carica che esplode sulla società e sulla politica che di essa è forza influente.
Se questo vale soprattutto per i primi capitoli della saga, si può rintracciare, pur con maggiore debolezza, in questa ultima fatica. George A. Romero’s diary of the dead mantiene nella struttura quelle caratteristiche principali che hanno reso celebri i passati film ed il suo autore. La novità sta nell’espediente narrativo usato da Romero per la messa in scena. È una voce femminile fuori campo ad avvertirci. Tutto quello a cui assisteremo è filtrato dallo sguardo della macchina da presa di Jason, giovane studente ed aspirante cineasta. Trovandosi in piena notte in un bosco nel tentativo di girare un piccolo film (indovinate di che genere?), quando l’epidemia inizia, decide di non lasciarsi scappare l’occasione per filmare quello che nei suoi progetti diventerà il suo capolavoro. E non importa se non c’è nulla di finto, se l’orrore catturato dall’obiettivo non è frutto della fantasia di qualche sceneggiatore ma è, al contrario, pura verità. È la mdp a comandare. Impossibile spegnerla. Il vero, dunque, da oggettivo ed insubordinato diviene schiavo della digitalizzazione. Solo se filmato si può dire realmente accaduto.
Non è forse un caso che nell’ultimo anno siano stati molti i film ad operare una riflessione sul rapporto tra la realtà ed il mezzo meccanico pronto a catturarla. De Palma con il suo splendido Redacted in ambiti e modi diversi, o, per restare all’interno dell’horror, basti pensare a Rec di Balaguerò in cui è assai simile il metodo narrativo.
Si avverte, se non una critica, un interrogativo sul bisogno, sempre più pressante, di avere una testimonianza visiva che possa garantirci l’autenticità di ciò che vediamo a discapito, spesso, della stessa etica del filmare.
Tornando al nostro Romero, il film si lascia guardare senza troppa fatica. Lo splatter non manca, in alcuni momenti anche piuttosto raffinato e naif, ed alcune trovate divertono abbastanza (per tutte citiamo quella del professore di cinema, tormentato ma dall’animo romantico, che rifiuta il fucile preferendogli l’arco e le frecce come arma di difesa, dimostrandosi ben presto un eccellente arciere). Lontano dal poter essere ricordato come il migliore della saga e con un finale un po’ debole, forse perché fin troppo scontato, George A. Romero’s diary of the dead non tradisce comunque i fan del suo autore. E se proprio il film non dovesse piacere, è quantomeno spassoso il ruolo che Romero assegna alle autorità politiche e militari. I primi assolutamente inerti, i secondi pronti ad impossessarsi delle città in preda al delirio d’onnipotenza. Siamo sicuri che si tratti solo di Horror?
(George A. Romero’s diary of the dead) Regia: George Romero; fotografia: Adam Swica; montaggio: Michael Doherty; musica: Norman Orenstein; interpreti: Michelle Morgan, Joshua Close, Shawn Roberts, Amy Lalonde, Joe Dinicol, Scott Wentworth; produzione: Artfire Film, Romero-Grunwald Productions; distribuzione: Voltage Pictures; origine: USA 2007; durata: 95’;
