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DOGVILLE: LA CITTÀ DEI CATTIVI PENSIERI

Pubblicato il 22 novembre 2003 da Marino Galdiero


DOGVILLE: LA CITTÀ DEI CATTIVI PENSIERI

Come si sa da tempo, di buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno, cosa non del tutto nota, a quanto sembra, nella cittadina di Dogville, ma sarebbe meglio dire “non del tutto nota” a Tom, il giovane scrittore residente nella comunità locale da cui il film prende il nome. Tom, ci informa ironicamente il narratore della storia, per rimandare il momento in cui si sarebbe messo a scrivere sul serio, organizza incontri periodici della comunità sull’argomento del “riarmo morale”. Nella sua testa brilla l’idea di una società utopica, un progetto tante volte accarezzato dagli intellettuali, e che spesso si è schiantato contro i limiti morali umani. Anche Tom, invece di dedicarsi concretamente al suo lavoro di scrittore, si impegna nella realizzazione di una comunità virtuosa, il cui primo elemento costitutivo pare essere la trasparenza. Fin dalla prima inquadratura rimaniamo sorpresi dalla triplice finzione della messa in scena: stiamo vedendo un film, questo film è girato in un teatro, gli attori vivono tra case, porte e mura invisibili ai nostri occhi. Se da una parte si evidenzia in questo modo la procedura sperimentale del film (data una serie di condizioni verificabili cosa succede ad un gruppo di persone che....?), dall’altra si sottolinea un contenuto importante: a Dogville non esiste il privato, ogni avvenimento, e ogni persona è sotto lo sguardo di tutti, il privato è pubblico. Un bel giorno arriva a Dogville la bellissima Grace (in italiano la potremmo chiamare Grazia), perseguitata da una misteriosa banda di gangster, viene accolta dalla comunità per mezzo dei buoni uffici di Tom. La concezione morale di Grace si rifà all’idea della vita come di un dono da offrire - anche lei un po’ ingenua - ed essendo stata accolta si impegna anima e corpo a ricambiare l’ospitalità con servizi e lavori verso gli abitanti. La sua purezza di cuore si rivela tale da superare le stesse intenzioni di Tom, il quale per orgoglio o paura al momento in cui dovrà decidere se salvare il suo progetto morale utopico o la donna che ama sceglie il primo. Quando Dogville inizia a mostrare i denti, le sorti di Grace volgono al peggio, e come erede di tutte le figure cristiche che si rispettino rischia il destino del capro espiatorio se non intervenisse un diabolico colpo di scena. Difatti, da rappresentate sulla scena del Dio d’amore dei Vangeli, si trasforma nell’ultimo atto del dramma, nel Dio vendicativo dell’Antico Testamento, e con crudeltà punisce i maligni cittadini di Dogville, incapaci di fare propria la dinamica amorosa innestata dalla nuova venuta. Ci sarebbe tanto altro da dire su questo film, in riferimento al ruolo del desiderio nella morale, alla struttura alla Barry Lyndon (il narratore), alla scelta di un set teatrale, alla canzone Jenny dei Pirati tratta da L’opera di tre soldi di Bertolt Brecht e Kurt Weill a cui è ispirato il personaggio di Grace. Mi limito ad una breve considerazione dogmatica su Lars Von Trier: più che seguire una precisa linea poetica, verificabile di film in film, il nostro pare lavorare come in un laboratorio, dove poter sperimentare forme e contenuti, secondo un processo tendente alla stilizzazione.

[novembre 2003]

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