Donne senza uomini

Un salto nel vuoto, per essere libere.
Inizia così Donne senza uomini di Shirin Neshat, tratto dall’omonimo romanzo di Shahrnush Parsipur, con l’immagine di una morte che è però incredibilmente carica di istinti vitali, grido di una ribellione impossibile da imbrigliare.
C’è forse tutto l’Iran in quel salto, nell’estremo rifiuto di abbandonarsi all’obbedienza cieca della dittatura nei giorni cruciali del 1953, quando il golpe ordito da Stati Uniti e Gran Bretannia riuscì a deporre il governo democratico di Mossadegh per restaurare il potere dello Scià.
Questa fierezza di sguardo e pensiero, che omaggia i martiri che ancora oggi si riversano nelle strade in nome della libertà, appartiene a tutte le protagoniste del film di Shirin Neshat, a queste "donne senza uomini" che realizzano una breve ma intensa utopia in una tenuta fuori da Teheran, nella quale convergono, come attratte da una forza magnetica.
Sono donne diverse, per età, ceto, educazione. Dalla giovanissima prostituta Zarin, che come atto di ribellione infierisce sul proprio corpo, ferendolo, smettendo di nutrirlo, e negando così la propria femminilità agli uomini che ne abusano, alla cinquantenne Fakhri, moglie insoddisfatta di un militare, fino alle due giovani e speculari amiche Munis e Faezeh, una proiettata in avanti, avvinta dalla radio che testimonia i movimenti di sommossa nel Paese, l’altra remissiva, ancora ’dentro’ la cultura impartitale, che non sogna altro se non il matrimonio con l’autoritario fratello di Munis.
In realtà sarà proprio Faezeh a vivere l’unico vero processo di formazione del film, a sancire con una trasformazione anche fisica - col passaggio dal velo all’abito a fiori, di stile occidentale - l’avvenuta presa di coscienza, e ad accogliere in sé le istanze innovatrici di una stagione coraggiosa.
Una femminilità cosciente come specchio di un Iran in fermento: le silhouette nere dei lunghi mantelli delle donne si stagliano come figure tridimensionali, impossibili da relegare nella bidimensionalità del quadro, all’interno del paesaggio fotografato dall’occhio esperto di Shirin Neshat (il cui esordio registico giunge dopo una brillante carriera come fotografa e video artista), che regala con toni cromatici virati sul seppia l’immagine di una terra lontana, quasi mitica.
Vi si legge un tributo d’amore verso le proprie origini che, seppur dietro un sospetto di manierismo, di eccessiva esteticità, si rivela funzionale a trasporre in immagini quel realismo magico appartenente già al romanzo. La regista riesce anzi a fondere suggestioni differenti, legando ognuna delle sue protagoniste a un mondo preciso, che la caratterizzi. Dall’alone "hollywoodiano" che circonda l’universo di Fakhri, le sue cene diplomatiche, l’abbigliamento occidentale, l’acconciatura alla Veronica Lake, come le dice l’amico di stanza in America col quale pare esistere un amore impossibile che rimanda alle atmosfere di Casablanca. All’analogia con il mondo naturale offerto dal personaggio di Zarin, ritratta come l’Ofelia del quadro di Millet, adagiata nell’acqua tra le ninfee, rifugiata anche lei nello spazio della follia di fronte a un mondo per cui è troppo pura.
E’ un film denso questo Donne senza uomini, metafora elegiaca di una sentita situazione storico-politica costruita su altrettante metafore intermediali, su riferimenti artistici, letterari, cinematografici che riversano la cultura dell’autrice in una pellicola dalla struttura complessa, il cui apparato visivo elegante, raffinato, rischia persino di oscurare l’impegno politico che ne è alla base.
Vincitore del Leone d’Argento alla 66a Mostra del Cinema di Venezia, all’interno del concorso il film di Shirin Neshat era subito sembrato uno dei titoli in grado di aspirare legittimamente al Leone d’Oro (soprattutto per le affinità di natura estetica con il cinema del presidente Ang Lee, col cui Lussuria sembra condividere l’estrema accuratezza di messa in scena e fotografia). Oggi, a diversi mesi di distanza, si conferma il manifesto di un nuovo corso del cinema iraniano, lontano dall’impronta neorealistica dei più noti modelli di riferimento della cinematografia nazionale ma comunque attento a rivendicare la sua natura politica e di impegno civile.
(Zanan bedoone mardan/Women without Men); Regia: Shirin Neshat, in collaborazione con Shoja Azari; soggetto: tratto dal romanzo Women without Men di Shahrnush Parsipur; sceneggiatura: Shirin Neshat, Shoja Azari; fotografia: Martin Gschlacht; montaggio: George Cragg, Jay Rabinowitz, Julia Wiedwald; interpreti: Pegah Ferydoni (Faezeh), Arita Shahrzad (Fakhri), Shabnam Tolouei (Munis), Orsi Toth (Zarin); musiche: Ryuichi Sakamoto; produzione: Essential Filmproduktion, Coop99, Parisienne de Production; distribuzione: Bim; origine: Germania/Austria/Francia 2009; durata: 99’
