DRAWING RESTRAINT 9

Non è detto che un film debba avere in modo assoluto una trama, una storia, una certa direzione. Non è detto che il cinema, la più popolare tra le arti, non possa assolvere funzioni di pura ricerca estetica fine a se stessa. Questo discorso vale ovviamente per tutti coloro che, dopo la visione di Drawing Restraint 9, hanno accusato il film di essere esageratamente formale e carente di significati. Due ore e trenta sono troppe in effetti anche per film più meno impegnativi, ma quello che sfugge a certa critica forse, al dì là della durata e dell’inesorabile lentezza con cui incede il film, è che in un’opera d’arte il significato si coglie solo riuscendo a carpirne la forma e il suo perché. Quello di Matthew Barney è un tentativo ambizioso, iniziato con i vari Cremaster, di esplorare linguaggi di diverse arti e di fonderli insieme, cercando di creare un’opera d’arte completa. Una baleniera giapponese parte col suo equipaggio e due ’ospiti’ (Bjork e lo stesso Barney). Alternate alla cerimonia per la partenza della nave, immagini di cacciatrici di perle che cercano ostriche in prossimità di una specie di tronco che verrà successivamente caricato sulla baleniera. Al centro dell’imbarcazione una grossa vasca contiene vasellina utilizzata dai marinai giapponesi (a mo’ di grasso per balene) per fare una scultura. Nel frattempo i due ospiti vengono vestiti e bevono del tè (dopo la lunghissima e caratteristica cerimonia giapponese) e ’fanno l’amore’ trasformandosi successivamente in balene. Per tutta la durata del film avviene una ricerca quasi pittorica dell’immagine cinematografica, tramite l’attenzione all’equilibrio dei colori e della luce. I lentissimi e lunghissimi piano sequenza tendono a fissare l’immagine e allo stesso tempo a dare allo spettatore una visione a trecentosassanta gradi del ’quadro’. Ogni particolare diventa oggetto della tensione di Barney verso la bellezza, dai movimenti aggraziati dei personaggi agli assurdi abiti disegnati dallo stesso regista, dalla descrizione visiva della cerimonia del tè all’amplesso-trasformazione dei due ’ospiti’, sicuramente la parte più riuscita del film. Alternata al modellamento della vasellina da parte dei membri dell’equipaggio della baleniera, questa incredibile scena di sesso violento e d’amore allo stesso tempo, mostra l’ottima Bjork e Barney (suo compagno anche nella vita) baciarsi, leccarsi, fino ad arrivare a provocarsi dei tagli a vicenda con un coltello, dai quali fuoriesce un liquido che rimanda alla vasellina della scultura (che rappresenta una figura geometrica che ricorre spesso nel film), ma anche allo sperma, divenendo così metafore della procreazione. Infatti, dopo che i protagonisti si amputano le gambe a vicenda, si fondono, s’immergono, e riemergono dall’acqua mista a sangue e vasellina, una sorta di liquido amniotico, per poi alla fine rinascere e nuotare liberi sotto forma di balena. Nel frattempo il tronco caricato sull’imbarcazione da alcuni marinai viene fatto entrare trasversalemente nella vasellina (atto che rimanda alla penetrazione), per accentuare la carica erotica della scena appena descritta. Drawing restraint 9 diventa anche un’opera che gioca con la realtà rovesciandola totalmente. Cacciatori di balene che scolpiscono vasellina invece di lavorare il grasso di balena, uomini che diventano animali, cercatrici di ostriche che fanno uscire perle dalla bocca: tutti questi elementi sono volti ad una descrizione distorta, visionaria e assolutamente affascimante della realtà. Ma non finisce qui. Il film è quasi completamente privo di dialoghi, e la forza delle immagini è esaltata dalla splendida colonna sonora di Bjork che prosegue la strada iniziata con l’album Medulla, migliorando e affinando la sua originalissima ricerca volta a fondere la musica e il rumore, esattamente come Barney cerca di fondere la bellezza armoniosa della realtà con un disarmante senso del visionario. Un film che o si ama o si odia. Il pubblico che usciva durante la proiezione probabilmente lo ha odiato. Noi siamo rimasti fino alla fine, disorientati, confusi, persi in questa stupenda opera d’arte.
[Settembre 2005]
Cast & credits:
Regia: Matthew Barney; sceneggiatura: Matthew Barney; fotografia: Peter Strietmann; montaggio: Luis Alvarez y Alvarez, Christopher Seguine; musica: Bjork, Akira Rabelais, Valgeir Sigurosson; produzione: Mike Bellon, Barbara Gladstone.
