Due partite

Sgomberiamo subito il campo da pesanti paragoni: Due partite non è l’Otto donne di Ozon all’italiana, né una commedia sofisticata alla maniera della Hollywood classica. Non flirta, come la pellicola francese, coi grandi generi degli Studios, imperniandosi su una vistosa messa in scena meta-teatrale e metacinematografica insieme, ma resta fedele alla pièce originaria rispettandone tempi e stile.
La sudditanza nei confronti del modello teatrale non giova, però, alla pellicola di Enzo Monteleone, che resta inchiodata all’impianto scenico, ruotando attorno al tavolo in cui si consuma la partita delle madri, limitandosi a seguirne le battute, soffermandosi con il montaggio sui primi piani d’ascolto delle attrici, sulle smorfie accentuate dei loro volti, in risposta al monologo di turno.
Anche il cast artistico sembra infatti dimenticare di aver abbandonato il palcoscenico: le pur navigate Margherita Buy e Marina Massironi recitano con marcata intonazione teatrale, calcando battute ed espressioni facciali, finendo per dar luogo a uno straniamento involontario che rende ostico per lo spettatore entrare nel cuore della vicenda, tenuto a distanza da quegli stessi mezzi che a teatro avvicinano la platea ai personaggi.
Stupisce che professionisti esperti abbiano sorvolato sull’inconciliabile divergenza tra le due arti, come se ignorassero che mentre il teatro richiede un’esasperazione della voce e dei lineamenti, al cinema è la macchina da presa a cogliere l’emozione sui volti, a carpire un’inflessione della voce. Non sembra casuale, infatti, che nell’ensemble delle madri la più convincente sia Paola Cortellesi, estranea al progetto teatrale, e che la seconda parte – quella delle figlie – risulti assai più cinematografica, grazie proprio all’interpretazione delle giovani, in cui spiccano Claudia Pandolfi e la sempre pregevole Alba Rohrwacher, introdotte ex novo da Monteleone per rispettare il realismo richiesto dal cinema, laddove la convenzione teatrale lasciava alle stesse attrici il doppio ruolo madre-figlia.
Dietro la macchina da presa non è dato scorgere nessuno sguardo maschile innamorato, nessun “uomo che amava le donne”, né alla maniera sincera e viscerale di un Truffaut, né in quella mediata e ‘meditata’ di un Ozon; Monteleone si rimette diligentemente al servizio della pièce e alla volontà della sua autrice, Cristina Comencini, che influenza a distanza la pellicola, imponendo suo malgrado la propria poetica e il proprio sguardo sull’universo femminile, nonostante il passaggio di consegne alla regia.
E se a Monteleone è imputabile l’eccessiva frugalità dell’apparato cinema, i limiti del contenuto spettano all’autrice di La bestia nel cuore. Nonostante l’affascinante spunto di una riflessione sul ruolo della donna ieri e oggi, le sue protagoniste non danno mai l’impressione di vivere oltre lo stereotipo e la chiusura di una tesi stringente: sottomesse prima, indipendenti adesso, ma infelici oggi come allora.
Due partite si offre al pubblico come un’incredibile occasione mancata: lo spreco di un cast che riunisce dive e speranze della cinematografia italiana privandole di una guida, ma soprattutto un mancato incontro generazionale, che rispettando la struttura granitica dei due atti teatrali, rinuncia agli elementi peculiari del linguaggio cinematografico, a un montaggio parallelo che avrebbe potuto dar vita a un flusso temporale ed emotivo, avvicinando le figlie alle loro madri, come solo nel finale, per un breve momento, accade, quando al volto della Rohrwacher si sovrappone l’immagine di una luminosa Isabella Ferrari.
Quella continuità caratteriale trasmigrata dalle signore degli anni del boom, infelici dietro i colori brillanti degli abiti pastello, nelle ragazze volitive ma egualmente smarrite degli incolori anni novanta, irrompe soltanto a tratti nel corso del film, e sempre grazie all’istinto di interpreti di razza, come la coppia Cortellesi-Pandolfi che riesce davvero a realizzare un dialogo a distanza, lasciando trapelare un’analoga amarezza verso la propria vita e un’affine durezza caratteriale, avvalendosi soltanto di una gestualità minima eppure assolutamente rivelatrice.
Ma, fatta eccezione per il gran mestiere di alcune interpreti, il film fallisce nell’obiettivo di raccontare queste donne, di indagare il loro malessere oltre i cliché, preferendo limitarsi alla piatta illustrazione di un testo che, già di per sé, con le continue ripetizioni e una ostentata letteralità, nonostante i riconoscimenti (il premio Gassman come miglior testo italiano stagione 2006-2007) non ce la sentiamo di inserire tra le pagine più riuscite del teatro contemporaneo.
(Due partite); Regia: Enzo Monteleone; sceneggiatura: Enzo Monteleone e Cristina Comencini, dall’omonima commedia teatrale; fotografia: Daniele Nannuzzi; montaggio: Cecilia Zanuso; musica: Giuliano Taviani; interpreti: Margherita Buy (Gabriella), Marina Massironi (Claudia), Paola Cortellesi (Sofia), Isabella Ferrari (Beatrice) Claudia Pandolfi (Rossana), Valeria Milillo (Cecilia), Alba Rohrwacher (Giulia), Carolina Crescentini (Sara); produzione: Cattleya e Rai Cinema; distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia, 2009; durata: 94’;
