Dylan Dog – Il film

Indubbiamente quello dell’Indagatore dell’Incubo è stato un personaggio di fondamentale importanza nella storia dell’horror italiano: in particolare perché ha visto la luce nel 1986, ossia in un periodo in cui tale genere stava imboccando la sua parabola discendente, all’interno tuttavia di una più generale crisi dell’intera cinematografia nazionale, ovvero del medium che più di tutti in quegli anni aveva veicolato una visione completamente italiana per raffigurare l’orrore del mondo. E la creatura di Tiziano Sclavi aveva attirato su di sé prima l’attenzione, poi l’affetto e, infine, l’estasiata ammirazione di una messe sempre più vasta di fan. Soprattutto Dylan Dog era riuscito a portare i suoi lettori fin dentro la rappresentazione di un romantico e tormentato esistenzialismo che giungeva come una novità nel panorama horror della penisola, la quale non aveva mai battuto con assiduità certe strade. Laddove gli albi della Bonelli erano cosparsi tra l’altro di una certa dose di splatter e di un’ingente ironia, spesso straniante. Mentre tali racconti, con al centro la straordinarietà dell’universo da incubo quotidiano del detective con base a Londra, già di loro a più riprese richiamavano un immaginario figlio dell’universo cinematografico internazionale: non solo per omaggiare un patrimonio culturale condiviso e per mostrare una comunicazione tra media differenti (senza aprioristiche distinzioni tra mezzi ’bassi’ o ’elevati’), ma perlopiù mostrandosi oggi come il compimento di un cammino culminato in una personale e autoriale esaltazione puramente emotiva, psichica e interiore, tragitto percorso assieme a una notevole classe ed eleganza.
Venticinque anni dopo spetta proprio al fumetto della casa editrice milanese di aprire la strada al primo (ri)adattamento cinematografico di un horror italiano nell’americana terra delle opportunità, nell’epoca del remake imperante e industrializzato, giunto ancora prima dei rifacimenti di taluni capolavori argentiani dei quali da tempo si sente parlare. E, indubbiamente, quando ci si trova di fronte a una pellicola come questo Dylan Dog, bisogna rammentare come una così lunga distanza nello spazio e nel tempo non possa essere trascorsa del tutto invano: giacché il film è qualcosa d’altro, tanto da portare in scena solamente una minima parte dell’investigatore londinese. Tale considerazione non è legata allo spostamento dell’azione nell’euroamericana New Orleans o all’assenza del personaggio di Groucho: questo non solo perché si vuole un minimo preservare l’indipendenza di qualsiasi opera da un’altra preesistente (ancor più perché in questo caso tali limitazioni - o tali libertà, se si preferisce - sono legate a ragioni di carattere strettamente economico, soldo al quale tutta l’operazione sembra comunque essere alquanto alla mercé), quanto perché la parte più importante da sottolineare è il tradimento dello spirito della creatura di Sclavi. Poiché il film agisce più che altro come uno schiavo senza fantasia che si poggia pigramente su un certo già detto: nella fattispecie quello pronunciato negli ultimi anni da tanto cinema e televisione, dagli esempi più creativi a, soprattutto, quelli meno ispirati: da Underworld a Zombieland, da Costantine al carpenteriano Grosso guaio a Chinatown e certe figure hard-boiled americane (qui tradendo maggiormente il lato canzonatorio e intimista dell’opera di Sclavi), irrorati di una spruzzatina di True Blood e una rievocazione di Buffy. Di certo tutto si rifà a un nuovo immaginario condiviso e questa volta appartenente al presente del ’qui e ora’, secondo la regola di un accumulo sempre più preponderante ma che finisce per svuotare il corpo filmico, a causa di una mancanza di idee che siano di stabile sostegno sia al contenuto che alla forma.
Per cui il Dylan Dog di Kevin Munroe potrebbe far pensare più a certi odierni ’Mala tempora’ che a un omaggio nei confronti dei bei tempi andati: molta azione e taluni particolari che si perdono nell’intreccio, un iniziale antieroismo che diviene presto un eroico protagonismo (quindi nessuno slittamento, nessuno scivolamento come nell’originale, nessun perdersi, nessuno iniziale e ironico scetticismo). Eppure non è che non ci fosse nulla in questa pellicola, perlomeno rispetto ad altri esempi coevi; però soprattutto l’ultimo terzo pecca in maniera imperdonabile. Alla fine ciò che più rimane sono le situazioni comiche e quasi grottesche, quelle legate maggiormente all’assistente Marcus, spesso divertenti e godibili, ma talmente larghe ed eccessive da non collimare per bene col resto del film visto nella sua interezza.
A questo punto non si può che lamentarsi per come questo progetto portato avanti a fatica non sia stato affrontato qui in Italia, forse un luogo ancora adatto per rileggere un personaggio talmente interessante. Soprattutto si sarebbe potuto scegliere la serialità televisiva, la quale, unitamente alla piccolezza dello schermo attraverso cui ama manifestarsi, sa donare quell’aspetto minimalista che tanto avrebbe fatto bene all’Indagatore dell’Incubo: magari riuscendo, in questo modo, a ricreare, in una forma e in un racconto diversi, i fasti di un Grand Guignol, di un Gente che scompare oppure delle Memorie dall’invisibile. Chissà però fin dove può giungere la pavidità degli Italiani d’oggi di fronte a un lavoro così immane - seppure con davanti a sé la possibilità di abbracciare insieme genere e autorialità - qualora si pensi a come si sia preferito lasciare tutto nella mani di un qualsiasi mainstream americano, persone per cui il cinema è uno schermo inutilmente vasto, degno solamente di essere imbrattato.
CONFERENZA STAMPA DEL FILM
(Dylan Dog: Dead of Night); Regia: Kevin Munroe; sceneggiatura: Thomas Dean Donnelly e Joshua Oppenheimer (basata sul personaggio creato da Tiziano Sclavi); fotografia: Geoffrey Hall; montaggio: Paul Hirsch; musica: Klaus Badelt; interpreti: Brandon Routh (Dylan Dog), Sam Huntington (Marcus), Anita Briem (Elizabeth), Taye Diggs (Vargas), Peter Stormare (Gabriel), Brian Steele (Zombie tatuato), Kurt Angle (Wolfgang), Marco St. John (Borelli); produzione: Hyde Park Entertainment e Platinum Studios Inc.; distribuzione: Moviemax; origine: USA, 2010; durata: 108’; web info: sito ufficiale.
