EDMOND

Porsi davanti alla vacuità della propria vita è cosa assai dura. Cercare, poi, di riaffermare il proprio io in una sola notte è un proposito alquanto folle. Succede, quindi, che una persona comune, professionista stimato e marito ormai stanco, possa perdere completamente il contatto con la realtà creandosi un nuovo mondo in cui sperare di poter dire la sua.
Stuart Gordon con il suo Edmond illustra tutto questo, conducendo per mano il protagonista, un William H. Macy mai così cattivo, in un inferno metropolitano, tra puttane e cacciatori di denaro, in una notte che incarna perfettamente le oscurità e le tenebre di una intera vita.
Edmond si lascia cadere in un vortice di eventi che, solo illusoriamente, restituiscono la parvenza di libertà. Si tratta, invece, di un viaggio nichilista verso la disgregazione sociale e personale.
Sfruttando una sceneggiatura piuttosto convincente di David Mamet, che ha così riadattato una sua novella, Gordon realizza un’opera interessante che, pur dovendo molto a pellicole precedenti quali, per esempio, Falling Down (Un giorno di Ordinaria Follia) di Joel Schumacher, riesce ad essere personale. Le domande che attraversano la mente del protagonista appartengono a tutti noi e Gordon è bravo nel mostrare a cosa possono portare anni di frustrazione e di appiattimento emotivo. Le pulsioni vitali sembrano, infatti, avvolgere Edmond all’unisono, come una lunga, non prevedibile e costante scarica elettrica. La conclusione è amara, testimoniando come la ricerca abbia portato, in realtà, ad una autodistruzione che coinvolge ogni aspetto della vita del personaggio. È paradossale come il viaggio verso la conquista della libertà si concluda dietro le sbarre, cioè con una tanto metaforica quanto concreta negazione di essa.
In questo reticolo di emozioni, trattenute e poi fatte deflagrare come il suono folle di una orchestra improvvisamente impazzita, Gordon trova anche il tempo di tracciare una violenta, nei toni e nel sapore, raffigurazione della metropoli e del razzismo che ne è sotteso. Come i tanti opposti e le contraddizioni dell’esistenza, i bianchi ed i neri vivono in due mondi diversi; mondi dove la fobia verso l’altro, specie se di razza diversa, conoscono, come soluzione finale, una tolleranza faticosa, animata dal disprezzo più feroce.
Le atmosfere dark riempiono il film come in un quadro di Francis Bacon, tracciando il netto confine tra giorno e notte, riconoscendo a quest’ultima il suo potere svelatore di nuove ragioni e nuovi ideali. È un viaggio verso un superomismo che non può esistere in quello spazio metropolitano, sopra accennato, che nega all’individuo la conquista di un’etica personale, nascondendogli anche i bagliori di una nuova possibilità.
La regia risulta decisa nella sua volontà di non risparmiarci nulla. È una storia amara che non ricerca il lieto fine, motivo in più per apprezzarla.
Regia: Stuart Gordon; sceneggiatura: David Mamet tratto da un suo racconto; fotografia: Denis Maloney; scenografia: Alan E. Muraoka; montaggio: Andy Horovitch; costumi: Carol Cutshall; interpreti: William H. Macy, Julia Stiles, Rebecca Pidgeon, Denise Richards, Debi Mazar; produttore: Chris Hanley; produzione: Muse Production; distribuzione internazionale: Exception Wild Bunch, distribuzione italiana: Fandango; origine: USA, Francia, Inghilterra 2005
