ELIZABETHTOWN
E’ una commedia romantica, insicura, che cerca di rafforzarsi rovistando tra gags prese in affitto e arruolando una serie di personaggi col tic. Sembrano, alla fine, un film dentro l’altro, giustapposti un po’ alla svelta e fastidiosamente rapidi nel darsi il cambio. Nel primo ci sono Orlando Bloom e Kirsten Dust; nel secondo un gruppo familiare che sembra una compagnia d’avanspettacolo e una discreta Susan Sarandon in versione madre (e donna) in confusione. Nessuno dei due è straordinario seppure entrambi supportati da momenti di carina intelligenza. Si può cercare di capire quale dei due, e in che misura, ci racconti di più dell’America e di certo suo cinema. Orlando Bloom è appena caduto dalla corda del vecchio "dream" e dice di sentirsi terrorizzato dal vuoto che precede il botto, forse angosciato dall’incontro con quella terra che il film ha invece deciso di non raccontare. E infatti il genere gli riserva da subito piacevoli sorprese, fino a fargli scoprire gli infiniti ganci protettivi di un canovaccio hollywoodiano collaudato da decenni: il suo cammino è subito segnato da una hostess pazzerella e crocerossina e da una famiglia sconosciuta e pacioccona che è pronta a dargli nuovo, insperato calore. Il tornado della felicità spazza via tranquillamente il problema originario e permette ad un amore delicato di vivere su una piattaforma economica di assoluto privilegio. Soprattutto riabilita il ragazzo a genietto sociale ed esorta per l’ennesima volta alla speranza. Lei è carina e comune, buona e sognatrice, un pizzico confusa. Interessante la potenza e la normalità con cui la tecnologia leggera diventi protagonista dell’intreccio: cellulari e cd non sono accessori ma elementi centrali dello sviluppo narrativo. Questo è il primo film, sciapino in generale, salvato da qualche intuizione dialogica che insaporisce, e girato molto sulle strade di un’america assolata. L’altro film è un affresco familiare troppo macchiettistico che, divertendo virtuosisticamente, corre il rischio di non essere preso troppo sul serio. Ed è un piccolo peccato perché poteva diventare l’occasione per una bella foto di provincia americana, un modo per raccontare tradizione locale, gente, pezzi di states. Invece s’allunga eccessivamente in una serie di gingilli colorati che sommergono la passioncina di Orlando spezzettando la pellicola in due tronconi alternati, slapstick e baci rock.
POSTFAZIONE DI Adriano Ercolani
Rispetto alla copia presentata a Venezia il film è stato rimontato da Cameron Crowe, che ne ha eliminato circa cinque minuti. Sono state “asciugate” alcune scene nella prima parte del film, soprattutto quelle riguardanti il confronto tra il protagonista Drew ed i familiari del padre sulla sepoltura. E’ stata inoltre eliminata del tutto una scena nel finale, che rende la soluzione del conflitto interno al protagonista molto meno dolciastra. Nel complesso, la nuova versione di Elizabethtown è maggiormente scorrevole rispetto a quella precedente, e si lascia alle spalle quel senso di eccessivo “buonismo” che possedeva, senza però sminuire minimamente la sua ricerca tutta personale: una ricerca drammaturgica che vuole rifarsi al cinema classico americano ma anche capace di proporre al pubblico un’opera del tutto autoreferenziale. Pur nella sua imperfezione, un film-contenitore di sicuro impatto.
[Settembre 2005]
Regia: Cameron Crowe,sceneggiatura: Cameron Crowe,fotografia: John Toll,montaggio: David Moritz,musica: Nancy Wilson,interpreti: Orlando Bloom, Kirsten Dunst, Susan Sarandon,Judy Greer, Jessica Biel, Alec Baldwin, produzione: Cameron Crowe, Tom Cruise, Paula Wagner,distribuzione italiana: UIP