Venezia 75 - Erom - Orizzonti
Erom in israeliano vuol dire nuda, spogliata, esposta. È il primo capitolo di una trilogia sull’amore che il regista Yaron Shani ha girato in dieci mesi di riprese con una tecnica che ha confuso produttori e attori dando risultati felici e sorprendenti. Usando il copione come canovaccio per una libera improvvisazione e ragazzi non professionisti, la trama va avanti e indietro nella vita di una bella trentenne scrittrice di successo, artista visiva e esordiente regista di documentari e di un giovane chitarrista appena maggiorenne, appena scartato dall’esercito come musicista eccellente (dopo un difficile esame) e si ritrova a dover affrontare l’obbligatorio servizio militare israeliano controvoglia. La tensione è palpabile, lo spettatore soffre con la protagonista in preda a violenti attacchi di panico, la tecnica di osservazione alla ricerca del punto fino a dove si può mostrare il disagio è accattivante e arriva dritta al punto. Cos’è il sesso per le nuove generazioni, cos’è la violenza sessuale, come si reagisce quando si perdono i confini, questi i grandi temi toccati. Senza compiacimenti di sorta, lambendo i limiti della censura, oscurando le parti intime e qualche viso come in un porno amatoriale, il film affronta a muso duro una storia morale senza cadere nella tentazione di giudicare, restando sempre complice con le duplicità della natura umana. Alice (interpretata da una bravissima Laliv Sivan) e Ziv (Bar Gottfried) sono due facce della stessa medaglia: entrambi hanno bisogno d’amore ma non lo sanno chiedere o lo indirizzano verso le persone sbagliate. Avvalendosi di una troupe ridotta all’osso, non invasiva, con un approccio quasi documentaristico, Shani ha l’abilità di ricreare situazioni a due o corali totalmente mimetiche e verosimili, mettendo i partecipanti alle riprese (più spesso attori non professionisti, come il folto gruppo di ragazzi) a loro agio davanti alla telecamera che per lo più li ritrae in reazioni reali, ponendo le condizioni per una dimensione quanto mai realistica delle scene. A scuola, in ospedale a trovare l’amico malato terminale, durante serate su terrazze o feste con piscina lo spettatore viene catapultato in una dimensione di spia silente, che guarda dal buco della serratura momenti privati di vita vera. La natura ostica insita nel narrare uno stupro svanisce nella scelta di non vedere ma di alludere, attraverso un montaggio alternato che lascia la possibilità al cervello di unire i tasselli come è giusto che sia. Un film duro che colpisce al cuore e alla testa, più che allo stomaco, che fa pensare, soffrire, amare
(Erom); Regia: Yaron Shani; sceneggiatura: Yaron Shani; fotografia: Shai Skiff, Nizan Lotem; montaggio: Yaron Shani; musica: Bar Gottfried; interpreti: Laliv Silvan, Bar Gottfried; produzione: Black Sheep, Film Production, The Post Republic, Electric Sheep; origine: Israele, Germania, 2018; durata: 119’