Father - Berlino 2020
Uno dei più film belli della sezione Panorama è di origine serba, s’intitola Otac ovvero Padre, lo ha girato Srdan Golubovic, regista quarantottenne con alle spalle un’ancora scarna filmografia, quattro soli lungometraggi, uno ogni sei anni a partire dal 2001. A Berlino (ma anche al Sundance) c’era già stato col film precedente intitolato Circles, dove aveva raccolto nella sezione Forum il premio della Giuria Ecumenica ed era stato distribuito in diversi paesi europei, ma in Italia no. Questo film è notevolissimo per rigore stilistico, di scrittura e per la recitazione esemplare del protagonista Nikola, interpretato da Goran Bogdan.
Il film ha inizio in medias res: la moglie di Nikola minaccia di dar fuoco a se stessa e ai figli, se il marito non ottiene gli arretrati che gli spettano all’indomani del licenziamento da una fabbrica in un paesino nei pressi di Priboj, al confine con la Bosnia, a trecento chilometri da Belgrado. Il gesto estremo è segno di disperazione, di una depressione a stento trattenuta, del resto la famiglia fa letteralmente la fame. Il padre lavora come manovale, impieghi stagionali malpagati). Lavoro vero, a quanto sembra, non ce n’è proprio in questa zona che pare non proprio floridissima sul piano economico. E la moglie vuol far capire che fa sul serio: viene salvata mentre i vestiti stanno già prendendo fiamme, resta abbruciacchiata e sotto choc viene internata in ospedale. I figli, un maschio pre-adolescente e una femmina un po’ più piccola, restano illesi ma anche loro sono sotto choc. E le istituzioni, che fin qui delle miserrime condizioni in cui versava la famiglia se ne erano strafregate, mettono gli occhi addosso a Nikola e ai figli e, complice un giudice tutt’altro che retto, il tribunale minorile dà tempo pochi giorni al padre per mettere a posto la casupola rendendola abitabile. Nikola, pur non disponendo di denaro a sufficienza, fa del suo meglio: ripulisce un po’, dà una mano di bianco almeno finché la vernice dura, facendo di tutto per convincere gli ispettori a lasciargli i figli. Ma così non sarà, il giudice è irremovibile, il padre non è in grado di garantire sufficienti condizioni di benessere ai figli che dovranno essere affidati a gente più benestante. In realtà Nikola e gli spettatori hanno appreso fin dall’inizio che il giudice gestisce un traffico illecito di affidamenti con tanto di mazzette.
Resta solo la possibilità di un appello, ma la sfiducia nelle istituzioni è tale che Nikola decide la sua istanza di portarla di persona a Belgrado, consegnandola nelle mani del ministro. Senonché per povertà ma, in fondo, anche per accentuare l’importanza che i figli rivestono per lui, autentico proletario che, appunto, ha solo la prole, Nikola a Belgrado decide di andare a piedi, 300 chilometri si diceva. La lunga parte centrale del film, quella potenzialmente più a rischio ripetitività, è l’estenuante racconto, verrebbe da dire quasi di sapore mitico, delle peripezie di Nikola, fra mille disavventure che testimoniano della tenacia di un padre disposto a tutto pur di riavere i figli, senza peraltro mai immaginare di valicare i limiti della legalità, come invece un conoscente privo di scrupoli sembrerebbe suggerirgli.
Non riveliamo il finale, sperando che questo bel film arrivi in Italia. In un festival (e non solo) che a più riprese ci induce a ritenere che sintesi ed ellissi siano due tecniche in via di estinzione, i 120 minuti di Otac invece sembrano tutti necessari: merito di regia, sceneggiatura, location e scenografia (la natura ma anche gli interni), recitazione.
(Otac); Regia: Srdan Golubovic; sceneggiatura: Srdan Golubović, Ognjen Svilicić; fotografia: Aleksandar Ilić; montaggio: Petar Marković; interpreti: Goran Bogdan (Nikola), Boris Isaković (Vasiljević), Nada Šargin (Biljana); produzione: Film House Baš Čelik, Belgrado, ASAP, Parigi, Neue Mediopolis Filmproduktion, Lipsia, Propeler Film, Zagabria, Vertigo, Ljublijana, SCCA/Pro. Ba, Sarajewo; origine: Serbia-Germania-Francia- Slovenia- Bosnia-Herzegowina-Croazia 2020; durata: 120’