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FEFF 2010 - Slice - Concorso

Pubblicato il 30 aprile 2010 da Matteo Botrugno


FEFF 2010 - Slice - Concorso

Le vicende raccontate nei film horror tailandesi sono spesso inscindibili da leggende, tradizioni e superstizioni locali. Nella saga di The eye, in lavori come The coffin e anche in parte in pellicole come Shutter, il "mostro" è un qualcosa di ancestrale, radicato all’interno della cultura tailandese. In Slice, invece, avviene un procedimento che sembra sovvertire in cliché di questo genere. La storia narrata è perfettamente integrata nella modernità, all’interno di una società piena di contraddizioni politiche e sociali. Il "mostro", quindi, non è un derivato contemporaneo delle tradizioni tailandesi ma, piuttosto, sembra essere l’essere umano stesso, perso nell’ambiguità della sua forma e della sua sostanza.
Un ex poliziotto ottiene la possibilità di uscire dal carcere in cambio di una sua collaborazione per scovare un serial killer che sta sconvolgendo Bankok. L’uomo aiuterà un suo superiore a trovare il folle, suo amico d’infanzia vessato da baby gang e vittima di violenze da parte del padre quando: solo in questo modo il poliziotto avrà la possibilità di poter uscire di prigione e poter sposare la sua ragazza, di cui è follemente innamorato. Nel momento in cui la faccenda sembra risolta però, un clamoroso colpo di scena cambierà totalmente le sorti della vicenda.
Slice, presentato come un concentrato di violenza allo stato puro, è in realtà un’operazione molto più complessa che fa della commistione di generi il suo punto di forza. L’incipit, in cui viene trovata una valigia rossa con all’interno un cadavere fatto a pezzi, rimanda immediatamente ad un’estetica che deriva da splatter movies dell’era moderna come Saw o Hostel. Inoltre, i flashback visionari del protagonista, miscelati con le sequenze oniriche che mostrano il criminale compiere stragi e mutilazioni, rimandano ad una morbosità ravvisabile in opere come Martyrs o deliri psichici di stampo nipponico (come ad esempio in alcuni dei lavori di Miike e Tsukamoto). Dietro l’apparenza di un thriller immerso in un lago di sangue, si nasconde la storia delicata di due bambini e della loro infanzia funestata da povertà e violenza: uno di loro diverrà un poliziotto e l’altro, per l’appunto, uno spietato assassino. Nei meandri della memoria del giovane poliziotto riaffiorano i ricordi d’infanzia, creduti ormai persi nelle pieghe del tempo e della mente. A mano a mano i flashback si fanno sempre più nitidi e con essi il film cambia decisamente registro.
Se nella prima parte della pellicola di Kongkiat Khomsiri splatter e onirico si fondono in una serie di sequenze arricchite da un montaggio frenetico e da colori saturi, salta subito all’occhio, nella parte centrale, un radicale cambio di marcia: da una parte il cineasta tailandese punta a raccontare l’indagine come ogni giallo che si rispetti ma, dall’altra, i lunghi flashback dell’infanzia del poliziotto trasformano i lampi visionari dell’inizio in un fiume in piena di ricordi e di emozioni. Il montaggio alternato fra passato e presente porterà lo spettatore al finale carico di tragica poesia. E’ impossibile non notare una certa somiglianza di Slice con Old Boy del geniale regista sud-coreano Park Chan-Wook, sia per quanto riguarda la tematica dei ricordi di gioventù e, soprattutto, per la ricerca di un mix di generi cinematografici diversi alternati con misura e con un buon equilibrio fra poesia e cinismo. Ovviamente non si arriva ai livelli del capolavoro di Park ma è senz’altro coraggioso il tentativo di inserire in un contesto horror elementi apparentemente contrastanti con esso.
Nel film, inoltre, è possibile ravvisare una riflessione (seppur blanda) sulla violenza nei confronti dei minori, spesso maltrattati dai propri coeatanei, dai genitori e che, spesso, finiscono per mettersi in vendita per le strade di Bankok. Audace e ruffiano al punto giusto, Slice è un film che farà discutere per una violenza e una forza espressiva che lasciano davvero poco spazio all’immaginazione.


CAST & CREDITS

(Cheun). Regia e sceneggiatura: Kongkiat Khomsir; interpreti: Arak Amornsupasiri, Jessica Pasaphan, Chatchai Plengpanich, Sikarin Polyong, Artthapan Poolsawad; origine: Tailandia; durata: 99’.


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