FEFF 2010 - Zeero focus - Concorso
Il panorama odierno del cinema giapponese è estremamente variegato. Da una parte è ravvisabile una forte tendenza alla sperimentazione e alla ricerca di nuovi linguaggi; dall’altra, invece, assistiamo ad una rievocazione del cinema del passato sia di marchio nipponico che occidentale. E’ proprio questo il tentativo effettuato dal regista Inudou Isshin con Zero Focus, remake dell’omonimo lavoro di Nomura Yoshitaro del 1961.
Una donna, Teiko, è sposata con uomo dal passato avvolto nel mistero. Lei, innamorata, non si interroga su quali siano i segreti del marito finché l’uomo, Kenichi, non parte per un viaggio d’affari. Kenichi non farà ritorno e Teiko, stravolta dall’ansia dell’attesa, decide di partire e di seguire le sue tracce. Scoprirà che il marito, sotto falso nome, era sposato con un’altra donna, un’ex Pon-Pon girl (intrattenitrice dei soldati americani dopo la seconda guerra mondiale). Teiko scoprirà inoltre che l’uomo è stato ucciso da Marie, amica della sua moglie segreta, spaventata dal suo stesso passato di Pon-Pon girl ed ora attivista politica e compagna di un ricco imprenditore.
Ambientata negli anni ’50, la vicenda si presenta come un giallo intrigante oltre ad apparire come un’indagine interessante della provincia giapponese, della sua storia, dei suoi segreti e delle sue contraddizioni. In realtà il film di Isshin scivola velocemente nel melodramma, senza emozionare o coinvolgere in maniera convincente. In questo lavoro, molto simile al film da cui viene tratto, non mancano spunti degni di interesse sia dal punto di vista contenutistico che da quello prettamente formale. Innanzitutto dietro il "genere" si cela la volontà di indagare fra le pieghe della storia del Giappone dell’immediato dopoguerra, durante il cammino faticoso verso la formazione di una società nuova e verso le prime conquiste sociali. Non a caso le indagini di Teiko vengono alternate a momenti in cui viene raccontata la campagna elettorale della prima donna-sindaco della storia giapponese. Le figure femminili, intorno alle quali ruota la vicenda, vengono descritte con abili pennellate e una discreta varietà cromatica. La dolcezza e l’ amore incondizionato si contrappongono alla brutalità e all’odio, in un vortice di emozioni, incarnate dalle donne in questione, che si alternano creando ondate ora di coinvolgente impatto emotivo, ora di retorica piuttosto lacrimevole.
Zero focus è tutto l’opposto di un film sperimentale. In ogni inquadratura si avverte il desiderio di recuperare il cinema del passato: dal lavoro originale di Yoshitaro a rievocazioni del cinema di Hitchock, ogni fotogramma viene costruito in modo da conferire alla pellicola un gradevole retrogusto d’altri tempi. Le rigide geometrie di ogni inquadratura vengono interrotte da sprazzi di cinema che sembra provenire direttamente dagli anni ’50-’60; luci, colori e persino effetti speciali (basti pensare al blue screen con l’oceano sullo sfondo, così simile visivamente ad una celebre sequenza di Vertigo) si fondono in gioco di citazioni che lasciano, per ovvie ragioni, poco spazio all’originalità.
Quello di Isshin è un omaggio al cinema che fu, ma non solo. Il cineasta giapponese dimostra che è possibile raccontare un pezzo della storia di un paese, partendo dal pretesto di una vicenda tinta di "noir". Purtroppo però la durata eccessiva, le esasperazioni nell’interminabile finale e alcune sequenze piuttosto soporifere, non fanno mai decollare un film sulla carta estremamente interessante che fa leva sulla qualità di un cast di prim’ordine. Operazione non completamente riuscita.
(Zero no shoten); Regia: Inudou Isshin; sceneggiatura: basato sul romanzo di Seicho Matsumoto, Indou Isshin, Kenji Nakazono; interpreti: Hidetoshi Nishijima, Ryoko Hirosue, Takeshi Kaga, Miki Nakatani, Tetta Sugimoto; origine: Giappone, 2009; durata: 131’.