Festa del Cinema di Roma 2007 - La giusta distanza

La ’giusta distanza’ è quella che un giornalista deve tenere dai fatti che descrive. Non deve essere troppo distaccato ma neanche troppo coinvolto, dice il maestro Bentivoglio al giovane Giovanni Capovilla, aspirante giornalista. Ma dove scavare il solco in cui segnare questa distanza? In questo senso il nuovo film di Mazzacurati è anche una riflessione sull’etica della cronaca, sul punto oltre il quale ci si può spingere per raccontare (e trovare) la verità.
La distanza di cui si parla è metaforica ma anche geografica. Questa storia è prima di tutto la storia di un luogo, quel nordest che nel cinema di Mazzacurati si va sempre di più trasformando in una località dell’immaginario, liminare e senza tempo, regione archetipica come lo era il west per Leone. Mazzacurati non sceglie solo un’ambientazione: storie e personaggi emanano da questa realtà del Veneto. La lingua e la cultura (già riscoperta con un amore e una cura nei documentari realizzati con Marco Paolini su Zanzotto, Meneghello e Rigoni Stern), l’umorismo e i silenzi, i personaggi e i caratteri, tutto deriva da questo luogo trasfigurato, tutto diventa il materiale di una poetica forse inedita nel panorama cinematografico italiano.
Descrivere questo luogo pertanto significa rintracciare le distanze che lo definiscono, i suoi seppur labili confini. E queste distanze sono le misure degli sguardi che attraversano tutta la pellicola.
Ci sono gli sguardi che gli uomini del piccolo paese in cui si svolge la storia proiettano sul corpo di Mara (Valentina Lodovini), la nuova maestra appena arrivata.
Questi personaggi sono l’ossatura più massiccia del film. Mazzacurati si dimostra (come già ne La lingua del santo) abilissimo a dirigere gli attori, complice una scrittura molto particolare dei loro caratteri. C’è il cartomante, l’imprenditore sposato ad una russa trovata su un catalogo, lo strampalato Franco (uno strabordante Natalino Balasso): personaggi in tutti i modi eccessivi, mai caricaturali, stranianti, talvolta grotteschi ma straordinariamente vividi. Una vera e propria galleria di maschere che costituisce l’evocativa identità di quel non luogo fatto di nebbie e boschi, di laghi, di case perse nel nulla.
Ci sono poi gli sguardi di due spie: sia Giovanni, l’aspirante giornalista, sia il meccanico marocchino Hassan spiano Mara, ne sono ossessionati. Con Hassan Mara intesserà una relazione, mentre Giovanni continuerà a guardarla da lontano. Ma quando il corpo di Mara emerge dal lago, senza vita, sarà lui, ormai lontano dal mondo a cui apparteneva, a cercare la verità nascosta in (e di) quello spazio senza tempo, e la vera identità che si cela sotto le maschere dei suoi compaesani.
Il cadavere però sembra destabilizzare non solo la realtà di quel piccolo mondo, ma, come per osmosi, turbare la stessa struttura del film, intaccando la coesione narrativa fino a quel momento inattaccabile. Quando il corpo di Mara emerge, improvvisamente il film cambia registro e adotta il linguaggio del giallo. Allora la galleria di personaggi diventa soltanto una schiera di possibili colpevoli, in un ‘indovina chi’ che stona con ciò che è stato costruito fino a quel momento. I personaggi, l’atmosfera, il discorso sull’alterità (Hassan) vengono quasi del tutto abbandonati.
L’adozione di ritmi e stili del noir e del giallo richiama alla mente altre esperienze cinematografiche, come La ragazza del lago di Molaioli o Apnea di Dordit, dove per la griglia del genere passano altri contenuti e tematiche (quella delle morti bianche, ad esempio, in Apnea). In questo caso però il cambio è drastico, come se il film si spaccasse a metà. Se anche volessimo pensare ad una precisa scelta stilistica, resta l’impressione di aver ascoltato dei discorsi troncati. Resta comunque un’intensità suggestiva, conferma di una scrittura e di una poetica che si affinano. Resta la sempre più accurata, anche se impalpabile, descrizione di un affascinante nuovo luogo cinematografico.
(La giusta distanza) Regia: Carlo Mazzacurati; soggetto: Doriana Leondeff, Carlo Mazzacurati; sceneggiatura: Doriana Leondeff, Carlo Mazzacurati, Marco Pettenello, Claudio Piersanti; fotografia: Luca Bigazzi; montaggio: Paolo Cottignola; musica: Tin Hat; scenografia: Giancarlo Basili; costumi: Francesca Sartori; interpreti: Giovanni Capovilla (Giovanni), Valentina Lodovini (Mara), Ahmed Hafiene (Hassan), Giuseppe Battiston (Amos), Roberto Abbiati (Bolla), Natalino Salasso (Franco), Fabrizio Bentivoglio (Bencivenga), Ivano Marescotti (Avvocato); produzione: Fandango in collaborazione con Rai Cinema; distribuzione: 01 distribution; origine: Italia, 2007; durata: 110’

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