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Festa del cinema di Roma 2007- Niente è come sembra - Extra

Pubblicato il 25 ottobre 2007 da Matteo Botrugno


Festa del cinema di Roma 2007- Niente è come sembra - Extra

Nel mezzo del cammin della sua vita un antropologo ateo si ritrova in una selva oscura che, probabilmente, è ciò che ha ispirato l’ultimo delirio metafisico di Franco Battiato. Il cantautore siciliano tenta un nuovo esperimento: dopo l’indagine autobiografica di Perduto amor e i regressi temporali di Musikanten, Battiato percorre i sentieri della spiritualità, al di là di ragioni e religioni, cercando di individuare le motivazioni dell’incapacità, da parte dell’uomo contemporaneo, di intraprendere una ricerca interiore.
Non solo ispirazione dantesca però. L’ultima fatica di Battiato, più che un viaggio attraverso la coscienza umana, si rivela un elenco sconclusionato di fedi diverse, un percorso che parte dal niente e giunge, ovviamente, al niente. Non siamo così presuntuosi da pretendere di perderci in argomentazioni filosofiche che vanno probabilmente al di là delle nostre competenze. Diviene però necessario focalizzare l’attenzione su un aspetto fondamentale di questo tipo di cinema: è indubbiamente apprezzabile l’intento di trattare un argomento delicato come l’assenza-presenza di spiritualità e di farlo tramite un approccio non convenzionale. Il problema è però insito nel senso stesso di tale scelta. Battiato produce un qualcosa che si esaurisce nel medesimo istante in cui viene realizzato. L’impressione è che il cantautore non abbia alcuna intenzione di comunicare, ma di soddisfare l’esigenza di parlare esclusivamente a se stesso.
Dal punto di vista tecnico Niente è come sembra lascia l’amaro in bocca. Un senso di dèja-vù percorre ogni fotogramma della pellicola. Il campionario è piuttosto assortito: steady-cam “al contrario” riesumate dal videoclip di Shock in my town, immagini digitali sgranate inserite in contesti assolutamente inutili, fermi immagine anni ’70, filmati stile Youtube e, cosa ben più grave, citazioni tarkovskijane, non solo dal punto di vista della ricerca poetico-spirituale, ma anche da quello delle ambientazioni boschive, in cui i personaggi, privati della guida di uno stalker, inizialmente si perdono, dopodichè proiettano corpo e spirito verso un assoluto realizzato visivamente con effetti speciali discutibili.
Ma un lungometraggio, per raggiungere la sua durata minima, deve essere riempito in qualche altro modo. E allora giungono improvvisi ed irritanti alcuni interventi che mettono in discussione l’intento stesso che ha portato alla realizzazione di questo film. Jodorowsky legge i tarocchi, la girl band delle Mab, ultima passione di Battiato, si esibiscono in un salotto borghese con una versione pop di un pezzo di Tchaikovsky, atei, cristiani, buddisti e quant’altro spiattellano citazioni ormai neanche più recitate, ma lette e declamate. Imbarazzante è anche la scelta di inserire in gran parte del film spezzoni di trasmissioni televisive, ammiccamenti anti-Emilio Fede, segmenti di finti documentari su monaci tibetani, pseudo-talk show intellettuali. Una critica della tv? O l’impossibilità di trarsi fuori da un certo tipo di linguaggio televisivo? Spegnere la tv per andare in sala a vedere un film sperimentale in questo caso equivale a perdersi in un vano tentativo di ricerca spirituale che sfocia in un (mezzo) documentario sulla necessità di credere in qualcosa. Intraprendere un percorso e ritrovarsi in un vicolo cieco. D’altronde niente è come sembra…

La proiezione è stata preceduta dal primo corto di Alejandro Jodorowsky, La cravate, opera divertente e, per quanto elegante e garbata, anticipa la satira, grottesca e surreale, che il regista cileno affronterà durante la sua carriera. Sperando che sia l’inizio della sana abitudine di proiettare corto prima di un lungometraggio in ogni sala.


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