Festa del Cinema di Roma 2007 - Pride - Alice nella città
C’è un intento, quello di raccontare una storia di piccolo grande eroismo, e c’è un prodotto finito che sceglie di raccontare questa storia nella maniera più tradizionale possibile.
La storia è quella, vera, di Jim Ellis, un ex nuotatore la cui carriera è stata stroncata dal razzismo che lo ostracizzava. Jim decide di ristrutturare la piscina abbandonata nel centro ricreativo di un quartiere di Philadelphia. Quasi per caso comincia ad allenare dei giovani del quartiere. Il film racconta la sua battaglia per creare il primo gruppo di nuotatori afro-americani di Philadelphia. Dovrà battersi contro il razzismo dei bianchi e delle istituzioni e contro la violenza della strada, incarnata da uno spacciatore che vuole riprendersi i suoi ragazzi e riportarli a quel mondo di miseria e criminalità a cui sembravano condannati.
Sunu Gonera, nativo dello Zimbabwe e già presente a Cannes con il cortometraggio Riding With Sugar, ci racconta una storia importante, come dicevamo prima, che è giusto far conoscere. Stilisticamente però il film risulta assolutamente convenzionale: i ruoli dei personaggi, le loro relazioni, lo sviluppo della storia pienamente americano (svantaggiata condizione di partenza, primo avvicinamento all’obiettivo, prima sconfitta, duro lavoro, raggiungimento dell’obiettivo) che vuole raccontare ancora una volta la favola del ‘tutti possono farcela se credono davvero in loro stessi’. Sotto questo aspetto la sua retorica è indifendibile, non solo da un punto di vista stilistico, ma anche, ad un livello più profondo, da un punto di vista ideologico. Bisogna certo tenere presente il target cui è rivolto, i bambini, da cui non si allontana mai. Sicuramente è importante sensibilizzare i bambini al problema del razzismo, ma bisogna anche considerare che tipo di messaggio viene effettivamente dato. Lo scontro più violento si svolge infatti tra neri (neri marginali e delinquenti vs neri che desiderano riscattarsi), mentre con i bianchi c’è uno scontro più sottile, forse più sistemico, sicuramente più profondo, in cui però entrambi i poli alla fin fine sono presentati come in fondo ‘buoni’. I razzisti bianchi sono razzisti momentanei, occasionali. Quando la squadra afroamericana dimostra il proprio valore, loro subito cambiano idea e capiscono i propri errori. Il messaggio è ambiguo. Hanno smesso forse di diventare razzisti? Tra i didascalici dialoghi del film ce n’è uno che sembra dotato di una profonda verità: Jim Ellis dice: ‘Se vuoi rispetto devi mostrarlo’, mentre l’allenatore bianco dice: ‘Se vuoi rispetto devi guadagnartelo’. Così la squadra di Ellis si guadagna il rispetto vincendo la gara. E allora le scorrettezze e il razzismo improvvisamente scompaiono. Si sta forse dicendo allora che il razzismo è giustificato se qualcuno non dimostra di essere una persona valida (ovviamente nell’ottica dei bianchi)? D’altronde il personaggio completamente negativo, a cui è tolta ogni possibilità di riscatto, è lo spacciatore afroamericano. Che razzismo si sta qui raccontando? A tratti il razzismo sembra quasi qualcosa di tollerabile, qualcosa di ovvio e naturale, come se in fondo ci si dovesse convivere e solo la meritocrazia potesse essere un mezzo di riscatto.
(Pride) Regia: Sunu Gonera; sceneggiatura: Kevin Michael Smith, Michael Gozzard, J. Mills Goodloe, Norman Vance Jr.; fotografia: Matthew F. Leonetti; montaggio: Billy Fox; musiche: Aaron Zigman; scenografie: Steve Saklad; costumi: Paul Simmons; interpreti: Terrence Howard (Jim Ellis), Bernie Mac (Elston), Kimberly Elise (Sue Davis), Tom Arnold (Bink), Brandon Fobbs (Puddin’ Head), Alphonso McAuley (Walt); produzione: Cinered, Lionsgate, Element Films, Fortress Features; distribuzione: Lionsgate International; origine: Stati Uniti, 2007; durata: 104’; web info: www.pridefilm.com
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