L’amore bugiardo - Gone Girl
Nelle celebri conversazioni con Truffaut, ad Alfred Hitchcock veniva rimproverato dal suo ammiratore francese di aver consentito che le immagini potessero mentire. Nel suo Paura in palcoscenico, la storia raccontata da Richard Todd al principio del film – e mostrataci in vari flashback – è, scopriremo, solo una menzogna in combutta con la femme fatale manipolatrice, Marlene Dietrich.
Mettere il flasback per immagini, osservava Truffaut, dà al racconto menzognero uno statuto di verità, e questo non è giusto. Hitchcock, candidamente, rispondeva che non capiva come mai le immagini non potessero mentire tanto quanto le parole. La risposta di Hitchcock, data nel 1967, ha dimostrato di resistere alla prova del tempo più dell’ideale di “verità” del regista della Nouvelle Vague, come prova ampiamente l’esperienza spettatoriale (e non solo al cinema) della contemporaneità.
Ed anzi all’illusione della verità dell’immagine in movimento, indice della realtà oltre che sua fedele riproduzione, è oggi di gran lunga preferita – nell’arte come nella comunicazione ad altri scopi - la sua possibilità di mentire. L’ingannevolezza dell’immagine è solo uno dei tanti elementi che accomuna Gone Girl, ultimo lavoro di David Fincher, a Paura in palcoscenico del maestro inglese, ma gli altri non possono essere svelati per non rovinare la visione del film, in uscita nelle sale italiane a dicembre. E’ però la chiave di lettura più importante per accostarsi a questa eccellente opera di genere del regista americano, che come lo stesso mediocre titolo italiano, L’amore bugiardo, mette in evidenza, è un film interamente incentrato sulle menzogne: da quelle di un marito – il protagonista, Nick, interpretato da Ben Affleck – a quelle dei mass media che sfruttano e manipolano gli eventi di cronaca. E l’evento di cronaca è proprio ciò che apre il film: Nick ed Amy (Rosamund Pike) sono in crisi, ed un giorno quest’ultima scompare nel nulla. Iniziano dunque le indagini, ed anche il circo mediatico che da nessuna parte come nella provincia americana (siamo in una cittadina del Missouri) circonda eventi del genere, bombardati di illazioni, ricostruzioni posticce, deificazioni o demonizzazioni di convenienza. Sapientemente in bilico tra il thriller, il Mystery Tale e la commedia, il film di Fincher, sceneggiato da Gillian Flynn (autrice del romanzo da cui è tratto) tematizza le bugie di tutti contro tutti, ed in primo luogo proprio quelle delle immagini stesse, nei tanti flashback menzogneri di hitchcockiana memoria che costellano il film.
Un’operazione che si rispecchia nella satira feroce contro i media “sensazionalistici” e che mette a segno anche una più profonda riflessione sulla modernità, in campo cinematografico come sociale.
Le immagini in movimento non sono più garanzia di nessuna verità: un flashback può mentire come un marito amorevole o una giornalista televisiva, ed il genere – quando è nelle mani di un ottimo regista – può raccontare meglio di tutto la verità della menzogna, o meglio che l’unica verità è proprio la menzogna stessa.
(Gone Girl) Regia: David Fincher; sceneggiatura: Gillian Flynn; fotografia: Jeff Cronenweth; montaggio: Kirk Baxter; musica: Trent Reznor & Atticus Ross; interpreti: Ben Affleck (Nick), Rosamund Pike (Amy), Neil Patrick Harris (Desi Collings), Tyler Perry (Tanner Bolt); produzione: Artemple - Hollywood, New Recency Pictures, Pacific Standard See; origine: Stati Uniti; durata: 145’.