First man - Il primo uomo (Perché si)

«Abbiamo deciso di andare sulla luna. Abbiamo deciso di andare sulla luna in questo decennio e di impegnarci anche in altre imprese, non perché sono semplici, ma perché sono ardite, perché questo obiettivo ci permetterà di organizzare e di mettere alla prova il meglio delle nostre energie e delle nostre capacità, perché accettiamo di buon grado questa sfida, non abbiamo intenzione di rimandarla e siamo determinati a vincerla, insieme a tutte le altre.»
(John F. Kennedy)
Prati e polvere
Quando Neil Armstrong/Ryan Gosling muove i primi, storici passetti sull’arido, grigio e polveroso suolo lunare, il suo sguardo vaga disperso verso un orizzonte oscuro e sconosciuto, mentre uno scenario vuoto e asettico si rispecchia contro il casco da astronauta. In quel momento Damien Chazelle lascia che i ricordi di perduti giorni felici di Armstrong, in pace su verdeggianti prati a incorniciare un candido ritratto di famiglia, si alternino grazie a un montaggio improvviso, scalzando e lasciandosi preferire all’assenza sprigionata dal territorio lunare.
First man – Il primo uomo, nuovo, imponente e ambizioso progetto del regista di Whiplash e La La Land – qui per la prima volta alle prese con un biopic – non è un film schematico, seppur lineare nel suo svolgimento narrativo. Tratto dalla biografia ufficiale, First man: The life of Neil A. Armstrong, scritta da James R. Hansen, la quinta opera di Chazelle parte dal basso, dalla terra e dalla realtà, spesso troppo faticosa, a cui sono assoggettati gli uomini, per prendere il volo sui loro sogni, le ambizioni e lo sviluppo scientifico, forse inimmaginabile, a cui giunge il progresso umano; Armstrong (a cui da corpo un Ryan Gosling in perenne apnea espressiva ed emotiva) è un individuo tenace, quasi disumano nella sua caparbietà, afflitto e ammutolito dalla tragica morte della figlioletta, di cui conserverà nostalgici ricordi per tutto il corso della sua vita, che sarà inevitabilmente segnata dall’accaduto. Partendo da questo assunto, Chazelle decide di focalizzare l’occhio della macchina da presa non sulla storia – la corsa alla Luna contro i sovietici e i movimenti di protesta americani sono saggiamente centellinati, ma non estromessi dalla narrazione – ma sui protagonisti di un dramma soverchiante, utilizzando Armstrong e sua moglie Janet (altra destabilizzante performance di Clare Foy, senza ogni dubbio una delle migliori attrici del momento) come espressioni viventi della smisurata capacità umana di superare ogni limite, impresa, forse, ben più ardua della stessa missione dell’allunaggio.
E Chazelle si prodiga nell’uso immersivo e lancinante della camera a mano, epidermica e invadente, costruendo una messa in scena costellata di dettagli visivi e di frammenti sonori, assorta nel dispiegamento certosino dello sviluppo, dei fallimenti – molti, spesso tragici – e dei successi di una scienza inarrivabile, se non per l’uomo che non s’arrende di fronte alla vastità dell’orizzonte conosciuto. Ma nulla, per Chazelle e, forse anche per Armstrong stesso, ha più valore di ciò che si lascia, di ciò che non può più essere recuperato, come la morbidezza dei lunghi e biondi capelli al tatto di una bambina, come la felicità e gli affetti famigliari. Ma l’uomo che punta lo sguardo oltre, verso il domani, non può esimersi dall’affrontare il futuro, non può smettere di proseguire verso di esso, e sceglie di farlo, anche se si tratta di un percorso arduo, soprattutto perché si tratta di un percorso arduo, proprio come ricordano le parole del presidente Kennedy. É questa la condizione umana messa in scena da Chazelle.
Prodotto da Steven Spielberg e debitore nella rappresentazione di almeno un paio di scene del genio kubrickiano, First man – Il primo uomo non è solo un biopic storico, non è solo un racconto di un sogno difficilmente realizzabile; è una riflessione emotiva e lucida al contempo della cristallina e paradossale caducità umana e del vano tentativo di porre a essa rimedio: per quanti sforzi o per quanto lontano si possa fuggire – perché quella di Armstrong è anche una fuga verso un nuovo riparo – non è possibile svestirsi della propria umanità, intesa come ricettacolo di sentimenti. E l’attenzione di Chazelle si riversa, difatti, in quell’ultima inquadratura di Neil e sua moglie Janet, che non possono vincere quel desiderio di toccarsi, di ricongiungersi. Così lontani, eppur così vicini. Scegliamo di farlo, proprio perché è un compito arduo. Arduo come andare avanti, sempre, nonostante tutto.
È probabile che First man – Il primo uomo farà incetta di premi ai prossimi Oscar. Nel caso, non ci sarà nulla da ridire.
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(First man); Regia: Damien Chazelle; sceneggiatura: Josh Singer, James R. Hansen [soggetto]; fotografia: Linus Sandgren; montaggio: Tom Cross; musica: Justin Hurwitz; interpreti: Ryan Gosling, Claire Foy, Corey Stoll, Kyle Chandler, Jason Clarke, Shea Whigham, Brian d’Arcy James, Pablo Schreiber, Patrick Fugit, Cory Michael Smith, Skyler Bible, Lukas Haas, John David Whalen; produzione: Temple Hill Entertainment; distribuzione: Universal Pictures; origine: USA, 2018; durata: 141’
