Flower and snake

A tre anni di distanza dalla sua uscita in patria, arriva nelle sale italiane il crudele Flower and snake di Ishii Takashi, distribuito dall’Iguana Film. Come notava già Giona Nazzaro, sembra quasi che Ishii non sappia accostarsi all’universo femminile se non attraverso la cifra della privazione e della violenza. Similmente a quanto accadeva in Freeze me, al centro del film c’è un corpo femminile che viene instancabilmente violato e torturato. Il corpo in questione qui appartiene a Shizuko (Aya Sugimoto), famosa ballerina sposata a Toyama, un giovane e ricco uomo d’affari. Shizuko diventa oggetto delle morbose attenzioni di Tashiro Ippei, boss della yakuza, che ricatta Toyama per ottenere così Shizuko. In questa prima parte Flower and snake è un film di genere, debitore a certo cinema anni ‘70 specialmente in alcuni movimenti di camera e nell’uso dello zoom. Un film dall’impianto erotico con elementi melò, si direbbe a prima vista, ma ci mette poco a mischiare le carte: Ishii centrifuga i generi e i riferimenti, con una regia ipercinetica e un montaggio frammentario, frullando i materiali ‘bassi’ che lo compongono in una formula autoriale. Cuore del film è la discesa di Shizuko negli inferi dell’‘anfiteatro’, la camera degli orrori dove viene portata dagli sgherri di Tashiro Ippei: qui sarà violentata e torturata da un gruppo di carnefici efferati, sotto gli occhi del boss e di spettatori mascherati (in una pecoreccia parafrasi di Eyes wide shut). La storia si azzera: una volta nell’anfiteatro – e fino alla conclusione – assistiamo ad un catalogo di parafilie e perversioni via via più crudeli, dalla cera calda sui seni allo stupro con ausilio di maschere dal naso fallico, in un’escursione senza freni nei territori liminari del bondage. Un corto circuito narrativo per cui lo sviluppo della vicenda vene abbandonata, come sopraffatta anch’essa dalla violenza.
Ishii punta ad offendere lo spettatore, rendendolo così il vero torturato del film. Non solo quindi a un livello contenutistico – la rappresentazione della violenza insistente e compiaciuta, simultaneamente reale e sopra le righe – ma soprattutto su un piano propriamente stilistico, e in particolare nella gestione tempistica della narrazione: le torture durano sempre troppo, dove troppo è quella manciata di secondi in più che tormenta lo spettatore, come nell’interminabile sequenza in cui Shizuko è costretta ad urinare in pubblico. Qualcosa di simile al primo Lynch (l’infinito dialogo tra Bobby Peru e Lula in Cuore Selvaggio, vari passaggi di Eraserhead e Velluto blu), un tempo eccedente, come se la sequenza strabordasse dal circuito narrativo.
Inoltre, un secondo livello di frustrazione è ingenerato dall’eliminazione di quei momenti a cui, in un film erotico tout court, viene affidata la catarsi della tensione: assistiamo così ad una lunga serie di accoppiamenti e penetrazioni che non culminano mai nell’orgasmo. In questo senso il film è un disturbante oggetto antierotico, che rende lo spettatore passivo e gli nega qualsiasi forma di riscatto e liberazione. Ciò è incarnato dal ‘corpo che non muore’ che compare alla fine, quello del braccio destro del boss che si ostina a non crollare anche se riempito di pallottole.
Le interrogazioni che si sviluppano da Flowers and snake (che tipo di violenza mostra? Perchè e cosa vuole dimostrare?) sono simili a quelle scatenate da certi ‘oggetti’ artistici contemporanei, più che da veri e propri film, come Seppuku! di Akita Masami alias Merzbow, o Lingchi di Chen Chieh-Jen. Lambendo l’eccessivo e il semplicemente brutto, Ishii ha creato uno spettacolo – e in veste di spettacolo è presentata la fiera delle atrocità che si svolge nell’anfiteatro – esacerbante, senza giustificazione e senza morale, puramente nichilista.
(Hana to hebi) Regia: Takashi Ishii; sceneggiatura: Takashi Ishii, tratta dal romanzo di Oniroku Dan; fotografia: Takashi Komatsu, Kazuto Sato, Hiroo Yanagida; montaggio: Yûji Murayama; musica: Goro Yasukawa; interpreti: Aya Sugimoto (Shizuko Tôyama), Renji Ishibashi (Ippei Tashiro), Kenichi Endo (Kanzô Morita), Misaki Mori (Kyôko Nojima); produzione: Femme Fatale, Toei Video Company; distribuzione: Iguana Film; origine: Giappone, 2004; durata: 115’
