Frontiers – Ai confini dell’Inferno

Durante l’ultimo Festival di Roma, chi avesse voluto avrebbe potuto imbattersi in un eccelso e indimenticabile horror francese: Martyrs, ossia l’invisibile che diventa visione, messa in scena di una tensione romantica verso l’ignoto, metafisica dell’orrore posta accanto alla visceralità della carne oppressa e sezionata, viatico alla conoscenza e all’incontro coi propri angeli e demoni, il japan style di Ju-On e l’american way of death di Hostel, l’uno di seguito all’altro, l’uno accanto all’altro, incontratisi in Europa per generare qualcosa di nuovo e di diverso.
In quest’altro horror d’Oltralpe, invece, è presente solo la visceralità, che vive assieme a una forte dose di ironia, più o meno volontaria.
Scoppiano dei disordini a Parigi, quando diviene forte il rischio che l’estrema destra vinca le elezioni nazionali: giovani contro poliziotti, botte e spari, violenza su violenza, uomini che sono sempre più vicini a diventare bestie. Tre ragazzi e una ragazza, Yasmine (che aspetta un bambino), tutti dai lineamenti di origine maghrebina, decidono di fuggire verso l’Olanda. Purtroppo per loro, si daranno appuntamento in un ostello sperduto nel nulla, vicino al confine col Lussemburgo, ospiti paganti di una famiglia di cannibali, per giunta fervidamente nazisti.
«Durante la mia vita ho assorbito talmente tanti riferimenti cinematografici che dovevo esorcizzare questa cosa inondando lo schermo di citazioni. È uno dei modi per sentirsi più sicuri quando si gira il primo film». Queste parole appartengono a Xavier Gens, autore di Frontiers, suo esordio nel lungometraggio, pochi mesi prima che volasse in America per realizzare Hitman. Per riallacciarci al discorso aperto con Martyrs, possiamo affermare di non essere a priori contrari al citazionismo, di non odiare più di tanto il presente che un po’ si diverte alle spalle del cinema del passato, cibandosi della sua carogna, perdendosi in un continuo vedere e mostrare il già visto, tributo che è riconoscenza, oltre che sfruttamento commerciale. Nello specifico di Frontiers, il discorso politico, più che come sfondo, appare solamente come un pretesto, mentre il ricordo del timore legato al rischio di vittoria di Le Pen nel 2002 tenta di unirsi all’horror - più o meno politicizzato - di Non aprite quella porta, rievocazione che viene annacquata da quella di tanti altri film che non è necessario stare qui ad elencare. Proprio il caso del capostipite hooperiano è emblematico: un film sui cannibali dove praticamente non scorre neanche una sola goccia di sangue, è divenuto il referente di tanto cinema minore del presente, che del sangue ha fatto una ragione di vita. Frontiers è evidentemente vicino a tanto horror americano contemporaneo: almeno, però, Gens ha reso tangibile l’odore del sangue e delle viscere, sparpagliate qua e là man mano che la pellicola scorre sempre più velocemente, grazie a un montaggio frenetico, mentre l’occhio si sofferma su primi e primissimi piani di volti giovani e fin dall’inizio sofferenti, a causa di un futuro che appare solo come un oscuro divenire. Fuggire, quindi, oltrepassando l’invalicabilità dei confini, dei limiti dell’umano esistere, così come della sofferenza fisica, oltre le Frontiers che, piuttosto, imprigionano il racconto, dominato da un’atmosfera malsana ben resa dal direttore della fotografia Laurent Barès, che ha colorato di ruggine gli interni dell’ostello, donandogli il colore del sangue rappreso. Inquadrature strette, riprese spesso con la macchina a mano, per entrare dentro la materia narrata, senza lasciare scampo allo spettatore. Spettatore che fin da subito è posto dentro i limiti del visibile, quando gli sarà permesso di osservare e sentire il feto che prima o poi diverrà il figlio di Yasmine, sintesi dell’intero film: carne che cerca di essere anche spirito, seppure rinchiusa in uno spazio angusto, pronto per quello che non è il migliore dei mondi possibili.
Ma, a questo punto, ciò che più rimane impresso di Frontiers è il finale, dove l’ampliamento del campo inquadrato può donare una speranza che non è detto possa ritenersi fondata, quando la realtà preme per far sentire il suo richiamo all’ordine. Mentre il giovane Xavier Gens già pensava - proprio lui - a come abbandonare la Francia, per volare in America, verso quel cinema che tanto ha tentato di imitare, pensando che lì si trovasse la libertà.
(Frontière(s)); Regia e sceneggiatura: Xavier Gens; fotografia: Laurent Barès; montaggio: Carlo Rizzo; musica: Jean-Pierre Taieb; interpreti: Karina Testa (Yasmine), Aurélien Wiik (Alex), Estelle Lefébure (Gilberte), Samuel Le Bihan (Goetz), Chems Dahmani (Farid), Maud Forget (Eva), Amélie Daure (Claudia), David Saracino (Tom), Jean-Pierre Jorris (Von Geisler), Patrick Ligardes (Karl); produzione: Cartel Productions, BR Films, Europa Corp., Pacific Films, Chemin Vert; distribuzione: Moviemax; origine: Francia e Svizzera, 2007; durata: 103’; web info: sito ufficiale.
