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Full Metal Placido - Il grande sogno (Conferenza stampa)

Pubblicato il 10 settembre 2009 da Fabiana Proietti


Full Metal Placido - Il grande sogno (Conferenza stampa)

È un Michele Placido nervoso, teso, quello che affronta i giornalisti subito dopo le due proiezioni stampa del suo film in Concorso, Il grande sogno, dramma dichiaratamente autobiografico ambientato nel Sessantotto di Valle Giulia e delle prime lotte del movimento studentesco.
Il film non ha ricevuto un’accoglienza favorevole e tra gli scettici ci siamo anche noi, rimasti perplessi di fronte a un’opera che ci è parsa addirittura rabberciata nel finale, sintomo di una produzione proababilmente sofferta, in cui tagli di montaggio (ben 45 minuti) darebbero conto di un flusso filmico singhiozzante, ben lontano dalla fluidità di Romanzo Criminale.
Eppure, tra i tanti detrattori – fischi e commenti ironici non sono mancati al termine della proiezione – durante la conferenza il film riceve anche più di un elogio.
Dopo un’introduzione di Carlo Rossella sul Sessantotto, che non ha mancato di infastidire gli astanti, Placido ha avuto modo di ragguagliare la stampa sugli intenti del suo film forse più personale, dall’evidente autobiografismo.

“Spero che ai ragazzi di oggi arrivi qualcosa della mia energia, niente di più. Io ho raccontato la mia storia, la storia di Michele Placido, attraverso il personaggio di Nicola, un ragazzo venuto dal Sud, da un piccolo paese, che si trova catapultato in questo mondo e cambia la sua vita. Anche i personaggi di Laura (Jasmine Trinca, ndr) e Libero (Luca Argentero, ndr) sono basati su persone che hanno fatto parte della mia vita. Sono storie vere, la chiave è lì per chi la vuole intendere”.
Se con quel “per chi vuole intendere” la prima frecciata alla stampa è già lanciata, arriva un altro momento di tensione per l’autore, chiamato a confrontarsi con il Pasolini storicamente a favore dei poliziotti, perché “figli del popolo” rispetto agli studenti borghesi, che la scena di Valle Giulia chiama inevitabilmente in causa.
“Non sono d’accordo con Pasolini, posso capire il portato profetico della sua posizione ma per me quei ragazzi borghesi sono stati i primi insegnanti. È dalle letture che mi hanno fatto conoscere, dai film che mi hanno fatto vedere che è cominciato il mio percorso come uomo e come attore” .

Riguardo alle aspettative sull’accoglienza da parte del pubblico in vista della prossima uscita in sala, Placido parla di un riscontro positivo anche prima dell’uscita del film. La proiezione de Il grande sogno è già richiesta nelle università e sia da destra che da sinistra c’è curiosità riguardo al film. “Credo che dialogherò anche con quelli di Ezra Pound, pure se hanno imbrattato i manifesti del film a Roma. Vedere il film e fare dibattiti per me è fondamentale, ed è già un successo”.
Le domande si susseguono e l’impressione è che si tenti di capire le reali intenzioni dell’autore rispetto a questo progetto. “Ma il suo Sessantotto è una visione nostalgica legata al suo vissuto o un filtro per uno sguardo sul presente?” - chiede una giornalista.
Placido asserisce che Il grande sogno non è un documento sociale e politico. Il Sessantotto vi è raccontato come atmosfera culturale, ma il messaggio finale sembra essere quello di un’uccisione dei sogni. “Ho cercato di lavorare anche in base all’esperienza teatrale – spiega. La mia è una drammaturgia esistenziale, e non ci sono sconfitte nei percorsi delle persone. Io realizzo il mio sogno altri no. Quello che c’è di negativo è il presagio dell’Italia dilaniata degli anni a venire”.
“Ma allora – domanda qualcuno – perché non raccontare proprio quest’Italia a venire? Oggi sembra esistere una difficoltà nel raccontare il reale e i registi si rifugiano poco coraggiosamente nel passato. Si parla sempre di apatia e afasia della nostra società: perché non mettere su pellicola quella?”.
Placido è ancora conciliante: “Accetto la sua critica di volere un cinema contemporaneo. Io adesso ritorno persino su Vallanzasca, però la penso come lei, anche a me piacerebbe raccontare più storia contemporanea, ma dovrebbero farlo i giovani forse. Ieri comunque Francesca (Comencini, autrice di Lo spazio bianco, in Concorso, ndr) ha raccontato una storia che è molto contemporanea".

A questo punto un resoconto è d’obbligo, perché dopo tante parole sembra di saperne quanto prima su questo oggetto non identificato chiamato Il grande sogno. Che sì, è il sogno di un ragazzo venuto da un paesino del Sud a fare il poliziotto per poi trovarsi a scoprire Ibsen all’Accademia di Arte Drammatica. E che si innamora. "Ma la politica che ruolo ricopre per lei, all’interno di un film comunque ambientato all’interno del Movimento Studentesco?"
Non ce la faccio a non stare sempre in mezzo alla politica. Vorrei fare di più per il Paese, poi penso che devo farlo attraverso il mio lavoro. Se dovessi dedicare il film a qualcuno, questo sarebbe il direttore dell’Avvenire, che trovo abbia uno spirito rivoluzionario”.

Si torna alla disamina della pellicola. Viene chiesto quale sia in realtà la conclusione del film. Si nominano le Brigate Rosse ma sono solo un’eco lontana. E dunque?
Placido ci tiene a precisare che il film non parla di Brigate Rosse: “Questo è una sorta di mio diario, anche se nel finale si adombra qualcosa. Anche il direttore di Cannes, quando se ne è parlato (lasciando quindi elegantemente notare che se ce ne fosse stata l’occasione Il Grande Sogno piuttosto che al Lido sarebbe sbarcato sulla più blasonata Croisette…, ndr) mi chiedeva se era un film sulle lotte armate, ma il Sessantotto non è stato un periodo violento, c’era un’energia positiva. È dall’episodio di Valle Giulia che le cose hanno iniziato a cambiare. Quando quella mattina si andò a Piazzale delle Belle Arti i ragazzi avevano soltanto uova da lanciare dentro agli zaini. La reazione della polizia è stata così dura che da quel momento è cambiato tutto”.
Interviene poi Mario Capanna, storico leader del Movimento, che loda il film, dichiarando di trovare “di eccezionale efficacia la doppia e intrecciata chiave interpretativa autobiografica: quella di Michele e quella di Laura, soggetti a una trasformazione che investe tutta la realtà circostante, a partire dalla famiglia rappresentata dalla figura del padre. Un padre che dapprima non capisce e condanna i figli, ma poi in punto di morte li sprona a lottare per i propri sogni. È vero, Il Sessantotto nel mondo non ha mai ucciso nessuno”.
Ma una piccola critica da uno che i fatti li ha vissuti in prima linea ci sta: “La strage di Piazza Fontana dovevi menzionarla, Michele, mi dispiace ma sarebbe bastato anche un solo fotogramma”. Rassegnata la risposta di Placido: “Eh sì ci avevo pensato, poi sai il lavoro...è sfuggito”.
Continua Capanna, articolando una riflessione sull’eredità del Sessantotto: “Penso che politicamente abbia perso. Ma lo stesso vale per la Rivoluzione francese, visto che dopo più di duecento anni dagli ideali di égalité, liberté, fraternité, oggi esistono ancora popoli dominati da dittature in diverse parti del mondo!”.

Un po’ di tregua per il regista, le domande vengono rivolte agli attori: né per Riccardo Scamarcio né per Jasmine Trinca si tratta del primo confronto con personaggi appartenenti ad altri momenti storici. Come è stata la preparazione?
Jasmine Trinca, come sempre misurata ed educata, rivela che oltre a una comune ricerca storico-politica per tutto il cast, c’è stata grande documentazione soprattutto sui film, i libri, per avere una base soprattutto culturale sul Sessantotto . “Il personaggio di Laura Michele ha voluto costruirlo su due filoni, uno cattolico, per cui mi ha detto di leggere Lettere a una professoressa di don Milani e quello borghese, da penetrare grazie a Memorie di una ragazza perbene di Simone Beauvoir, in cui c’è lo spirito di questa protofemminista, che ha in comune col personaggio una liberazione sessuale che la rende soggetto e non più oggetto”.
Tocca a Scamarcio: “Dato l’elemento autobiografico, Michele era la persona più adatta a guidarmi. Quando abbiamo girato una scena in cui Nicola cerca di rubare un bacio a Laura, Michele mi ha fatto notare che allora non era così facile baciare una ragazza, e trovo che in quell’impaccio ci sia tutta la cultura pre-sessantottesca, destinata a cambiare. Mi ha rimandato a un mondo che mi fa tenerezza e che oggi non c’è più".

Ma è solo un breve intermezzo questo con i due protagonisti. Dopo gli iniziali elogi arrivano le critiche più pungenti, quelle di fronte alle quali Placido perde colpevolmente le staffe.
Prima risponde che le colpe della crisi del cinema contemporaneo sono“di questo governo, che non vuole dare i film ai giovani per raccontare l’oggi”. Ma al rimpallo più che legittimo di una giornalista spagnola che gli chiede se per un uomo di sinistra, come lui si dichiara, non sia contraddittorio farsi produrre e distribuire il film da una compagnia (Medusa, ndr) che appartiene al gruppo finanziario del capo del Governo, l’ira funesta di Placido esplode: “Questa è una domanda stupida, con chi cazzo lo devo fare il film io???A voi inglesi piacciono i film americani girati con i soldi della guerra e poi fate i buoni! Questa è ipocrisia!! “.
Gli fanno notare che la giornalista è spagnola (come se questa fosse l’unica cosa su cui puntualizzare…) ma il commento peggiora solo le cose: “Ah sei spagnola…Anche peggio!!”.
E su questa battuta la penosa conferenza viene chiusa, lasciando il film alle inevitabili polemiche e agli unici riscontri di rilievo, quelli del botteghino.


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