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George Cukor, il tocco invisibile

Pubblicato il 14 agosto 2013 da Filippo Baracchi


George Cukor, il tocco invisibile

Per celebrare il cinema classico di Hollywood, il Festival del Film Locarno propone una rassegna, composta da quarantanove titoli, dedicata al regista George Cukor.
Un cineasta classico e moderno al tempo stesso, molto prolifico nella sua carriera (cinquantuno film girati e una ventina in cui ha collaborato), che ebbe una considerazione contradditoria tra pubblico e critica. Se il primo lo amava, la critica lo ha relegato in posizioni secondarie.
In un periodo storico in cui compaiono nomi come Howard Hawks, Ernest Lubitsch, Vincente Minelli, Otto Preminger (solo per citarne alcuni), Cukor si inserisce tra questi ancora oggi con profonde ambiguità: ama le donne, che rappresentano per molto tempo il segno distintivo dei suoi film, tanto da comprenderle meglio di qualsiasi altro cineasta di allora; è difficile inserirlo in una corrente di autori a causa del suo stile "invisibile", e dunque difficile da classificare, se non per i periodi storici produttivi.
Il suo cinema infatti è in continuo cambiamento, mette in scena l’avvenire del tempo, proponendo tematiche non ancora affrontate attraverso il gioco del travestimento, il più delle volte spiazzando il pubblico (specialmente maschile). Uomo di spettacolo, non produsse però mai lavori contenenti performance o esibizioni come Vincente Minelli, tenuto invece in grande considerazione dalla critica.
Il suo lavoro registico si costruisce attraverso gli attori e la drammaturgia, plasmata su di essi, che concretamente si finalizza attraverso una messa in scena teatrale che lo fa sembrare, per diverso tempo, più un regista teatrale che cinematografico (viene considerato infatti un "cineasta teatrale"). Questo è un clique che caratterizza i cineasti di allora, legati alla pesantezza della struttura cinema del tempo (basta pensare a come la luce poteva condizionare la recitazione). Cukor infatti è un regista attento alla tecnica cinematografica, che ama i movimenti di macchina e ha un buon rapporto con gli operatori con cui lavora.
Si può dire che Cukor sia stato "vittima" di un misunderstanding da parte della critica per tutto questo tempo?
In parte è da escluderlo. E’ vero anche che alcuni cineasti e film esprimono il loro valore se confrontati e analizzati in un diverso periodo storico da quando sono stati girati.
Per Cukor basta pensare a come la femminilità venisse affrontata cercando di indagare dall’interno i suoi problemi, unico per un regista di quei tempi: film come Sylvia Scarlett (1935), con l’attrice Katherine Hepburn, dimostrano come il tema dell’omossesualità - sia maschile che femminile - fosse già messo in scena. Una situazione simile si presenta anche con Born Yesterday (1950), nel quale Judy Holliday interpreta la parte di una pazza, ma malgrado questo comprende meglio il mondo degli uomini sani. Donne amate e dirette da Cukor che vengono messe in scena attraverso la loro naturalezza e sensualità: si vedano It should happen to you (1954) con l’amata Judy Holliday (assieme a Katherine Hepburn, la più amata tra le attrici che ha diretto), My Fair Lady (1964) con Audrey Hepburn oppure l’intepretazione di Marylin Monroe nel film Let’s make love (1960).
A queste si possono aggiungere dettagli entrati nell’iconografia cinematografica della storia del cinema come il viso di Greta Garbo, le gambe di Ava Gardner, gli occhi di Anna Karina e il corpo di Jacqueline Bisset. Senza dimenticare il periodo successivo al periodo classico hollywodiano, con film come The Bhowani Junction (1956), opera minore ma con una splendida rappresentazione delle contraddizioni della società inglese-occidentale nei confronti di quella indiana-orientale. Oppure The Chapman Report (1962), tradotto in italiano Sessualità, che lo inserisce al fianco di cineasti come Renoir, Rohmer e Warhol, tanto che lo stesso Godard afferma che questa pellicola assomiglia a La pyramide humaine (1961) di Jean Rouch.
Il suo ultimo film Rich and Famous (1981), proiettato domenica sera 11 agosto in Piazza Grande, con il meraviglioso duetto tra Jacqueline Bisset e Candice Bergen, rimane un testamento indiscusso sulla sessualità e sull’universo femminile da parte del regista americano.

Bibliografia
D. Bordwell, K. Thompson, Storia del Cinema e dei Film-Dalle origini a oggi, Editrice Il Castoro, Milano, 1998.
AA.VV. (edited by F. Ganzo), George Cukor-On/Off Hollywood, Capricci, France, 2013 (volume pubblicato in occasione della retrospettiva alla 66° edizione del Festival del film di Locarno).
Round Table George Cukor tavola rotonda tenuta il 11/08/2013 presso Spazio Cinema alla 66° Festival del film Locarno, diretta da Roberto Turigliatto, con la partecipazione di Jean Douchet, Bernard Eisenschitz, Chris Fujiwara, Miguel Marias.


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