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GESPENSTER

Pubblicato il 23 febbraio 2005 da Giovanella Rendi


GESPENSTER

In una Berlinale il cui concorso sembra impolverato da una patina di noia e prevedibilità, era lecito attendersi un’eccezione da Christian Petzold, regista proveniente dal clan del documentarista Harun Farocki (qui in veste di co-sceneggiature), nonché autore di uno dei migliori film tedeschi degli ultimi anni come Die innere Sicherheit, dedicato alla questione quanto mai attuale del passato terrorista della Germania, come dimostrano le polemiche sulla mostra dedicata alla RAF che si è aperta a nei giorni scorsi a Berlino. E invece no, una nuova delusione. Petzold conferma il suo talento registico, costituito da uno stile scarno ed essenziale, o meglio asettico, che scenograficamente trova il suo ambiente ideale nei corridoi bianchi o privi di colore di ospedali e case di correzione, e la sua più compiuta espressione nelle immagini bluastre e silenziose delle telecamere a circuito chiuso, ormai un vero e proprio marchio di fabbrica dei suoi film. Sembra, tuttavia, non trovarsi a suo agio con il doppio registro narrativo della sceneggiatura, in parte ispirata ad un racconto di Pavese su due ragazze prima iniziate all’arte e poi abbandonate una volta “intossicate” da due artisti, in parte una rielaborazione delle fiabe dei fratelli Grimm, in cui i bambini spariscono misteriosamente. I fantasmi (Gespenster, appunto, in tedesco) sono quelli di Françoise, una donna malata, che continua a vedere dovunque la figlia rapita quindici anni prima, e crede di riconoscerla in Nina, adolescente sbandata che a sua volta cerca il fantasma dei suoi sogni, quella che chiama la “regina”, nella coetanea Toni, incapace di prendere sul serio i suoi sentimenti. Il comune denominatore è quindi una disperata mancanza di amore e la sua continua ricerca, caratterizzata da una cecità che non può che portare altra sofferenza. Pur privilegiando la vicenda di Nina, la sceneggiatura, già debole, oscilla senza convinzione tra lei e Françoise, e Petzold torna a riproporre una serie di moduli stilistici e tematici da lui già ampiamente affrontati (la perdita del figlio, il furto come compensazione affettiva, e il topos dell’automobile come sostituto dell’abitazione e simbolo di precarietà esistenziale), contando un po’ troppo sull’indulgenza dello spettatore che dovrebbe giustificare come automaticamente d’autore tutto ciò che è semplicemente irrisolto.

[Febbraio 2005]

regia: Christian Petzold sceneggiatura: Christian Petzold, Harun Farocki fotografia: Hans Fromm montaggio: Bettina Böhler scenografia: Kade Gruber musica: Stefan Will, Marco Dreckkötter interpreti: Julia Hummer, Sabine Timoteo, Marianne Basler, Aurélien Recoing, Benno Fürmann produzione: Schramm Film Koerner + Weber, Les Films des Tournelles, ARTE, Bayerischer Rundfunk durata: 85’ origine: Germania 2005

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