Giulia non esce la sera

Il miglior cinema di Giuseppe Piccioni (Fuori dal mondo, La vita che vorrei, Luce dei miei occhi, Giulia non esce la sera) è caratterizzato da una discreta eleganza nella costruzione delle storie e da una dignitosa attenzione all’interiorità dei personaggi. Eppure tornano, nelle vicende raccontate da questo regista appassionato di relazioni amorose, gli stilemi di un cinema italiano malinconico, privato, borghese, stretto nelle pareti degli interni domestici e nei canali pietrosi e cementizi delle indifferenti città. Un cinema di storie che finiscono col film, di dolore e speranze silenziose e private, di individui e relazioni sentimentali che non spingono fino in fondo sul pedale del dramma, mantenendosi sostanzialmente estranee anche alle possibilità offerte dalla commedia (a parte la non irresistibile parentesi di Cuori al verde). I film di Piccioni parlano d’amore, prima che di altro, anzi di un rapporto difficile tra solitudine, amore e marginalità (non solo) sociale. Le storie sentimentali del regista sanno porsi ai margini di una normalità con cui sono obbligate a fare i conti, e l’amore diventa una chance importantissima per ricominciare daccapo, ma anche lo specchio attraverso cui comprendere la propria enorme, a volte invincibile, difficoltà . E’ un cinema intimo, quello di Piccioni, che non rischia mai un terreno insolito per la nostra tradizione cinematografica recente: si mantiene sul sicuro di un realismo contenuto, trattenuto e silenzioso. Il cinema di Giuseppe Piccioni è costruito su due volti complementari, uno maschile e l’altro femminile, su una coppia di individui alle prese con l’amore ai tempi di un presente che non viene esplicitato marcatamente ma che si avverte, inevitabilmente, nelle atmosfere dei film. Anche in questo ultimo sforzo, piccionianamente maturo ed indeciso al tempo stesso, fluido ed avanescente insieme, si possono notare una serie di particolari non trascurabili per risalire agli obiettivi e all’identità del film. I protagonisti sono due attori molto noti al panorama nazionale ed entrambi, in questo Giulia non esce la sera, forniscono un altro episodio di un serial cinematografico che da anni gli italiani continuano a beccarsi. Valerio è un uomo solo, dubbioso, in fondo semplice e comune, silenzioso e lievemente tormentato. L’attore romano ha sicuramente costruito personaggi più leggeri di questo, e forse anche più riusciti. Eppure, anche nell’ottavo film del regista nato ad Ascoli Piceno (Il grande Blek, esordio piccioniano, racconta proprio questo ambiente marchighiano) non si discosta troppo dalle corde già pizzicate nell’arco della sua ormai robusta e lunga carriera. Non lo dice apertamente, il personaggio Mastandreiano, ma si sente inadeguato alla sua vita e al suo mestiere. Fa lo scrittore ma nemmeno lui sa bene come e perché. Forse ha letto Kafka, ma rimane scosso quando un ragazzino di tredici anni gli comunica che, alla faccia della sua giovanissima età, Kafka se lo è letto quasi tutto, e chissà quanto altro ha letto, fino ad ora, e chissà quanta altra strada percorrerà, prima di diventare adulto, e avere una sua identità. Un po’ diversamente da come ha fatto il protagonista maschile del film, che, per sua stessa ammissione, ha avuto un’infanzia normale, una vita normale, ed ora passa il tempo a scrivere cose in cui non crede fino in fondo, senza bere e senza fumare, senza un editore che le legga e senza che nemmeno questo creda molto in lui. Sembra piuttosto inverosimile che uno scrittore possa rispondere a queste caratteristicne e il mestiere del personaggio sembra uno strumento un pò impreciso per far emeregere un ingarbugliato irrisolto umano. Non è facile leggere in profondità il personaggio di Mastandrea, lo consideriamo un uomo senza qualità particolari, sensibile come altre persone, un po’ confuso nella sua forma di creatura filmica, e molto odorante di altro Mastrandrea, spalmato negli anni grigi e leggermente calustrofobici del cinema italiano medio d’autore. Un discorso non troppoo diverso va fatto per Valeria Golino. La quale, spieghiamolo subito, interpreta il personaggio di Giulia con grande bravura. E’ lei il persoanggio marginale del film, l’elemento attraverso cui Piccioni (si) ricorda che nella vita ci sono due gruppi di problemi: quelli intimi, privati, esistenziali, per usare una parola sintetica e forse troppo vaga, quelli della borghesia da parquet, librerie colorate e tristi cene in qualche bel risotrante, e quelli più pratici, dei ceti più bassi, in cui la vita ci è venuta addosso picchiandoci senza pietà, scuotendoci fino al punto di obbligarci ad una battaglia che oscura tutto il resto. Giulia, Valeria Golino, non è una donna semplice, non è una donna comune, una donna cosiddetta normale: ha mollato un bravo marito e una filglioletta ultra bisognosa d’amore. Lo ha fatto per seguire una passione insana, un amore folle, ed è andata sino in fondo a questa sua incontrastabile debolezza: ha ucciso l’uomo che amava quando questi le ha spiegato il suo desiderio di chiudere il rapporto. Per ciò si sta facendo sette anni di carcere e per ciò non esce la sera, ma soltanto di giorno, per andare a lavorare in una piscina comunale, quella in cui si imbatte in questo strano scrittore che non sa sa nuotare, che non ama più la moglie ed è in corsa per un premio letterario. Nessuno meglio di Valeria Golino avrebbe potuto appropriarsi di questo personaggio femminile pieno di rabbia e colpa, lacerato dalla prigionia causata da una cieca e irrazionale esigenza di libertà. Scatta una scintilla tra questi due personaggi, ovviamente, tra queste due solitudini asimettriche. Raccolta, assecondata e scartata dal più debole dei due, (l’uomo/borghese/scrittore) quando la vita chiama alla responsabilità, ad una scelta di maturità e coraggio.
Alla fine di un film di personaggi, e di parecchie figure umane di contorno (Piera Degli esposti, Sonia Bergamasco, Lidia Vitale, Paolo Sassanelli) , rimaniamo estranei alla verità del personaggio maschile e troppo affascinati da un attrice che fa del suo personaggio lo strumento per dimostrare ancora una volta il suo agio profondo di fronte creature femminili così sofferenti e particolari. Il film punta ad un pubblico che cerca intrattenimento senza scendere a patti con le commedie che girano di questi tempi. Giulia non esce la sera è un film alla Piccioni, delicato nel tocco, ancora legato al cinema italiano degli anni ’90, e povero di contenuti importanti.
(Giulia non esce la sera); Regia: Giuseppe Piccioni, sceneggiatura: Giuseppe Piccioni, Federica Pontremoli; fotografia: Luca Bigazzi; montaggio: Esmeralda Calabria; musica: Francesco Bianconi, Baustelle; interpreti: Valerio Mastandrea, Valeria Golino, Sonia Bergamasco, Antonia Liskova, Piera Degli Esposti, Chiara Nicola; Domiziana Cardinali, Sara Tosti, Jacopo Biciocchi, Fabio Camilli; produzione: Lumière & Co, Rai Cinema Con il sostegno di: Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC), Regione Lazio, Regione Toscana, Toscana Film Commission, FILAS; distribuzione: o1 distribution; origine: Italia, 2009; durata: 105’
