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Gli italiani, la commedia e il pallone

Pubblicato il 11 gennaio 2008 da Gaetano Maiorino


Gli italiani, la commedia e il pallone

Prima era la domenica, il settimo giorno, quello dell’inerzia, quello che “dopo sei giorni di creazione anche l’Onnipotente dovette riposarsi”. E se si riposò l’Altissimo, tutti furono giustificati a fare altrettanto.
È così che il lavoratore stanco, sazio del pranzo festivo, lascia andare il suo peso sul divano o la poltrona di fantozziana reminescenza e con il suo telecomando decide che il tempo per la creazione è stato esaurito: ora c’è il meritato ozio domenicale. Vadano al diavolo il vicino rumoroso, il capo rompiscatole e il collega meglio pagato: è domenica, oggi c’è il campionato di calcio e quando un italiano è nel proprio soggiorno a guardare il campionato di calcio, nulla può turbarlo, è lui il vero Dio. Ora si comincia di sabato, alle sei del pomeriggio, ma l’abusato parallelo tra calcio e religione può ancora dirsi valido e, sebbene non valga per tutte le genti del mondo, il calcio è di certo l’oppio del popolo italiano, il nostro adorato momento profano elevato a sacro e come tale inviolabile.
I circensem sono sempre stati associati fin dall’antichità al panem per sedare le rivolte, per non portare l’attenzione sulle questioni serie dei governi, per tener buone le masse e il calcio per noi italiani è da sempre il circo prediletto. C’è da dire che la tradizione di questo sport è evidentemente molto radicata nella nostra storia e molte, moltissime, sono le vicende di cui andar fieri. Campionati del mondo vinti, squadre di club che primeggiano in Europa e non solo, grandi campioni invidiati da ogni altra nazione. Ma la verità è che la visione che viene data di questo divertissement è qui da noi fin troppo seria. La recente caduta degli dèi seguita al caso Calciopoli (e ora Calciopoli bis e chissà cos’altro) è stato occasione di riflessione nelle alte sfere della FIGC, ma non ha allontanato la sensazione che si parli sempre e solo di soldi, potere, tifo violento, famiglie che non frequentano più gli stadi e persino giocatori che preferiscono trasferirsi all’estero. Il clima è pesante.
Una reazione che riporti al giusto livello ludico uno spettacolo piacevole e coinvolgente qual è il gioco del calcio (e sottolineamo gioco), cerca di scatenarla in cinema con un gradito e atteso ritorno: dopo ventitrè anni riecco sul grande schermo Oronzo Canà. Chi lo considerasse un Carneade vada di corsa a comprare/noleggiare/farsi prestare il DVD del film L’allenatore nel pallone datato 1984 e guardi cosa è cambiato e cosa no nella rappresentazione del fanatismo pallonaro italiano. Un fanatismo che per anni e anni è stato raccontato dalla commedia italiana, da quella dei grandi (Alberto Sordi e il suo Borgorosso nel 1970) a quella dei mestieranti della risata becera e volgarotta, ma che ha dato comunque vita a personaggi di culto come, ad esempio, l’Abatantuono di Eccezziunale veramente e omonimo sequel.
Non per questo ogni film sul calcio deve essere ridicolo o ridicolizzante, di sicuro il fenomeno è difficile da affrontare a tuttotondo in una sola pellicola. Sembra, però, che si senta il bisogno di farsi una risata una volta ogni tanto parlando di pallone e non concentrare solo ed esclusivamente l’attenzione sugli ultrà politicizzati, sugli scontri strumentalizzati per mettere in crisi i governi, sulle tragedie di cui nessuno vuole ridere, ma che si potrebbero evitare se si ridimensionasse un po’ l’importanza di questo sport.
Ben vengano, per raggiungere tale obiettivo, l’ilarità e l’ironia. Guardiamo a come in passato ci si divertiva e a quanto ancora ci si può divertire; tornino le punzecchiature letterarie alla Gianni Brera, le spacconate alla Altafini, i personaggi passionali e appassionati nelle curve, i nuovi libri, i nuovi film.
Si tratta di una commedia nazionale, è pur sempre il nostro sport preferito.



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