Go Go Tales (Conferenza stampa)

Roma. In una sala del cinema Adriano di Roma sono presenti il regista Abel Ferrara e il protagonista Willem Dafoe, assieme alle attrici Stefania Rocca, Bianca Balti, Manuela Zero, Justin Mattera e Shanyn Leigh, oltre che il produttore Franky Cee (anche lui presente nel film) e il coreografo Toni Colandrea. Go Go Tales verrà distribuito dalla Mediafilm in 80 copie.
È una commedia nera, ironica e trasgressiva ed è un film un po’ diverso da quelli a cui Abel Ferrara ci aveva abituati. Go Go Tales è stato girato interamente a Cinecittà. Vorrei sapere che divertimento vi è stato per lui nel lavorare con questo tipo di cast, inventando magari anche giorno per giorno una serie di situazioni, in questa storia un po’ surreale, ma probabilmente più reale di quello che possiamo immaginare: se vorremo andare in un club, magari lo scopriremo...
A.F. Parliamo di divertimento? Voi ve la state forse spassando qui? Fare un film non è un divertimento: è lavoro. E ovviamente quando si tratta di dover rispettare delle scadenze o comunque di doversi attenere a certi programmi, non è che ci si diverta granché. Io ho impiegato circa otto anni per far sì che questo film alla fine vedesse la luce e, ovviamente, ho cercato di lavorare per far sì che il pubblico si potesse divertire: non ho considerato il divertimento mentre pensavo al film.
E considerato anche che tutte le strade portano a Roma e, normalmente, un film viene realizzato quando riesci a metterlo insieme, la cosa bella è che io sono riuscito a mettere tutte le tessere di Go Go Tales al loro posto, in un posto magico, che è appunto questo: Roma.
Parlando poi di reale e di surreale, forse è meglio che lasci la parola a Willem.
W.D. Beh, io ho già lavorato con Abel in passato e devo dire che questa volta è stato ancora meglio: abbiamo stabilito una vera e propria collaborazione, molto stretta. E poi lui ha questa idea della storia, questo senso del luogo e quando siamo entrati nel club che abbiamo ricostruito a Cinecittà, abbiamo contribuito a creare anche una
esperienza parallela: ogni giorno andavamo lì e lo creavamo, assieme a tutte le dinamiche tipiche di un club e che hanno poi contribuito ad alimentare ulteriormente quell’esperienza. E devo dire che è stato qualcosa di veramente molto speciale, perché c’era molta libertà e sensibilità, visto che ogni giorno andavamo sul set, ma non dovevamo semplicemente recitare sulla base di un copione: pur conoscendo bene quali fossero i personaggi che dovevamo interpretare, dovevamo veramente creare la storia, quindi forse si è trattato di un salto nel buio. Però spero che il film riesca in qualche modo ad accogliere le difficoltà della vita, le difficoltà che ha il mio personaggio nel gestire il ’Paradise’ quando tutto sembra andargli contro, quando tutto il mondo gli è contro.
Volevo un commento alle affermazioni di Asia Argento che ha disconosciuto il film: ha detto che a causa di quel bacio al cane ha dovuto rinunciare a tanti contratti.
A.F. Io pure avrei dovuto dirigere I predatori dell’arca perduta...! Per favore, non mi fate partire con questa storia.
W.D. Cosa posso dire...? Che la storia del film non riguarda il dare un bacio a un cane.
S.R. Volevo dire che, tra l’altro, proprio come diceva Willem, il modo di lavorare con Abel è assolutamente improvvisato, cioè tutto nasce sul momento. E le cose sono accadute perché è stato l’attore a scegliere di farle: quindi non è che Abel le ha detto «Bacia il cane!», anzi è venuto lì tutto sul momento ed è stata lei a scegliere di farlo.
Apprezziamo l’intervento di Stefania Rocca, anche perché è difficile che un’attrice italiana dica qualcosa, per altro di vero, senza offendere nessuno.
S.R. Infatti non volevo offendere nessuno! Però è la verità. È un film dove tutti si improvvisava: anch’io mi sono tolta il reggiseno, ma non è che avevo lui dietro che mi diceva «Togliti il reggiseno! Togliti il reggiseno!». Anche questo è il bello delle responsabilità che un attore si prende durante la lavorazione di un film.
La risposta di Stefania Rocca mi induce a chiedere alle altre attrici qualcosa sulla libertà nel modo di lavorare sul set di Go Go Tales.
F.C. In realtà vorrei aggiungere questo: quando Abel mi ha chiesto di venire a lavorare in questo film e lui mi ha offerto una certa cifra, io gli ho detto «Non se ne parla proprio che io venga da New York a lavorare per te a questa cifra». Dopodiché ho visto le ragazze, ho visto come erano vestite e gli ho detto «Senti un po’: quant’è che ti devo dare, io...?!».
S.L. Quando ho letto la sceneggiatura, ovviamente il ruolo che avrei dovuto interpretare non era affatto ben definito e Abel mi ha lasciato completa, assoluta libertà: perfino quella di inventarmi il nome, la nascita, l’esperienza del personaggio, tutto quanto. Devi quindi dire che per me è stata una magnifica esperienza creativa, perché ho potuto veramente metterci molto di mio: questo vale per tutti quanti noi, ossia aver potuto creare un personaggio e rimanere fedele a esso.
S.R. La cosa divertente nel lavorare con lui è che ognuno crea il suo personaggio e, automaticamente, si formano delle relazioni inaspettate con gli altri personaggi.
Bianca Balti ha una scena molto particolare, questa forse un po’ più preparata...
B.B. A dir la verità, non molto preparata, perché io ero appena rimasta incinta, quindi dovevo ricoprire un ruolo più lungo, comunque
definito, invece poi è stato rimesso tutto in gioco: si trattava di una gravidanza delicata, quindi ho dato disponibilità di girare le scene in una settimana. Anche lì abbiamo deciso di dare un senso al mio carattere dicendo che ero incinta e abbiamo improvvisato tutto: infatti ho recitato con Shanyn questa scena in cui non sapevamo neanche cosa dovessimo dire a Willem. Non ho mai avuto altre esperienze di recitazione, per cui non posso comparare questa esperienza con nient’altro, ma posso dire che è stata eccezionale: Abel è stato dolcissimo, grazie anche al fatto che ero incinta, e tutti mi hanno coccolata.
J.M. Io volevo dire che quando ti trovi in una situazione in cui hai una assoluta libertà, ciò può risultare anche abbastanza sconcertante. Mi sono ritrovata con Willem Dafoe, Abel Ferrara e con tanti altri attori, io che ho fatto solo tanta televisione, e quando ho dovuto recitare in una scena senza copione con un sacco di ragazze che magari neanche parlavano l’inglese tanto bene, ho incontrato diverse difficoltà. Di certo è stato un set molto movimentato.
M.Z. Per quanto mi riguarda questa è stata la mia prima esperienza in un film, quindi non posso fare altro che ringraziare Abel che mi ha offerto questa possibilità. E per continuare il discorso di prima, per quanto riguarda il mio personaggio, io ero Sophie, nel senso che comunque ero la ballerina che avete visto, perché ho compiuto degli studi di danza; in più su questo set abbiamo avuto anche un coreografo che ringrazio, perché ci ha aiutate a superare alcune difficoltà! Per quanto mi riguarda, lavorare con Ferrara è tutto: è lavoro, è fatica, ma soprattutto è una grande emozione.
T.C. La cosa assolutamente divertente per me è stato l’approccio che ho avuto, attraverso il senso meraviglioso della vita che ha Abel, di riconoscerci all’interno della verità di un lavoro, la quale sta nel famoso ’Work in Progress’: cioè tu, con Abel, ti alzi la mattina e sei convocato sul set e cominci una storia che riguarda la vita di tutti insieme, di ogni persona, per cui mi trovo molto d’accordo con quanto affermato dagli altri. Anche per me, come coreografo, è stato molto divertente lavorare sulla verità naturale delle movenze individuali: la coreografia, in questo caso, prende suggerimento dalla bellezza naturale di queste ragazze.
A.F. Voglio dire qualcosa per quello che riguarda il mettere insieme un progetto. In realtà dovevo realizzare questo film a New York, per una cifra di gran lunga inferiore: avevamo già costruito il set, senonché il proprietario del luogo nel quale il set era stato costruito, ha preso e buttato tutto in mezzo alla strada. A quel punto ho detto: «Bene: il film non lo giro a New York!». Ogni film ha il suo momento e quando quel momento arriva ne devi trarre il meglio.
Perché le hanno buttato il set per strada?
A.F. Perché non avevamo pagato l’affitto.
Anche io sono vittima dell’ossessione per il gioco del lotto, motivo per cui mi sono molto riconosciuto nella storia del protagonista... In un certo qual modo esiste anche per lei questo problema di reperire i soldi.
A.F. La cosa buffa è che mio padre era un allibratore e ovviamente gli piaceva anche giocare; però mi ha instillato l’idea che in realtà non devi mai scommettere su niente, se non su te stesso. E mia madre per tutta la sua vita ha continuato a chiedersi «Ma quest’uomo ce l’ha un lavoro normale, o no?». Oltretutto in America si viene pagati ogni settimana, il venerdì. Ma in questo mestiere non si viene pagati tutti i venerdì: se vieni pagato va bene, ma devi anche essere disposto a lavorare senza essere retribuito. Ovviamente questo film non fa altro che riflettere quello che fondamentalmente è il nostro mestiere; e Ray Ruby non fa altro che scommettere: ma, tutto sommato, scommette su se stesso.
Una domanda per il signor Dafoe: quanto il personaggio le somiglia, quanto lei investe sulla fortuna nella sua vita, o quanto ha investito, e quanto crede nel fato?
W.D. Certamente, assolutamente. Penso che sono stato guidato fortemente da Abel, penso che forse non riuscirò mai a spiegare quanta intesa e complicità c’erano tra di noi nel realizzare questo film, che in effetti è una metafora del ’fare cinema’, ma nella maniera più difficile possibile. Vi era una grande e reciproca comprensione in questa esperienza di cinema indipendente. Io a volte, quando guardo Abel, penso che nel film ci siano anche elementi autobiografici, perché Go Go Tales riguarda un pochettino i sognatori, quelli che vogliono fare qualcosa, magari non seguendo la norma.
Una risposta breve è che nessuno di noi sarebbe qui senza aver avuto un po’ di fortuna!
Vorrei un commento da Ferrara sul remake de Il cattivo tenente che sta per essere girato da Werner Herzog con Nicholas Cage protagonista.
A.F. Mi hanno fatto giurare di tenere la bocca chiusa... Non per tornare a citare sempre mia madre, ma lei è abituata a dire che «Se non puoi dire qualcosa di carino su qualcuno, è meglio che non ne parli affatto». Il mio commento è: se non riesci a tirare fuori delle idee originali per farti un film, lascia perdere il mio. Non hanno le palle neanche per avvicinarsi a quel film!
A questo punto vorrei chiedere qualcosa sul progetto di Pericle il nero dal romanzo di Ferrandino, perché per realizzarlo ci vogliono le palle: Ferrara è uno dei pochissimi al mondo che lo può fare e vorremmo saperne qualcosa di più.
Scamarcio ha avuto un problema con la famiglia, quindi è dovuto andare via: adesso vediamo, perché ovviamente il progetto è con lui; speriamo non si tratti di nulla di importante e che quindi possa consentirci di andare avanti.
Io sono cresciuto con Nicholas St. John, uno scrittore che è stato, in un certo senso, la fonte della mia originalità: lui, però, non ha più interesse nel lavorare nel cinema. E poi Zoë (Zoë Lund, ndr) che, invece, ha scritto Il cattivo tenente e che, purtroppo, non c’è più, il che mi fa sentire doppiamente incazzato. Dopodiché a quel punto abbiamo in un certo senso deciso di rivolgerci ai libri e ai romanzi. Questo libro di Ferrandino per me è un progetto bellissimo: però credo che sia tutt’altro che facile realizzarlo e secondo me non lo si può estrapolare, non lo si può estraniare da quella che è la sua lingua originale, quindi sicuramente dovrà essere girato a Napoli. Adesso poi vediamo quando torna Riccardo, andremo per televisione: dobbiamo cercare di mettere su i quattrini e lo faremo pensando che ogni euro conta. Io scherzando ho detto che potremmo cominciare da qua, ma coi giornalisti è un po’ dura...
Adesso sto lavorando con il produttore de Il padrino e di Million Dollar Baby per realizzare un western e Willem sarà in parte coinvolto: diciamo che sarà il pistolero più veloce del West, se dovessimo mai decidere di tornare a Hollywood.
In questo cast ricchissimo c’è qualcuno che avrebbe voluto avere ed è rimasto fuori? E quanta gente ha fatto la fila per lavorare con lei?
Quando sei sul palcoscenico, lavori con quelli che ci sono: non mi sto certo a preoccupare di chi non c’è e di chi avrebbe potuto esserci; e poi quelli che magari c’erano fisicamente, ma non mentalmente, li abbiamo cacciati a calci in culo! Non sono un medium: non posso di certo dirigere chi non c’è. E ovviamente non ho nessun rimpianto per quanto riguarda il film: mi dispiace solo il fatto che gli italiani non abbiano potuto recitare nella loro lingua. Per quello che riguarda, invece, la proiezione del film, mi è dispiaciuto che alla fine la musica si è interrotta, mentre il film continuava ad andare. Qualcuno di voi lo ha visto in originale? Come diceva Willem, c’è tantissimo slang, c’è un ritmo che è difficile riportare; io so che questo è il Paese dei bravi, bravissimi doppiatori, il Paese della post-sincronizzazione, però credo che il pistolero più veloce del West sia forse anche il parlatore più veloce, quindi è assolutamente difficile doppiarlo. Qualche volta ho anch’io difficoltà a capirlo!
W.D. Io vivo in Italia: quindi, non parlando bene la lingua, guardo spesso film coi sottotitoli. Ma è veramente molto importante poter ascoltare la voce, la lingua originale, soprattutto in film come questo: un po’ mi spezza il cuore non poter avere la versione originale, perché anche se le persone possono leggere i sottotitoli (e il sottotitolo è una elaborazione più accorciata di quanto viene pronunciato), la possibilità per un attore di utilizzare la propria voce con un determinato accento, a un determinato ritmo, con una specifica musicalità, è qualcosa di molto importante. Quando, invece, c’è il doppiaggio, avviene una sorta di semplificazione e quindi viene persa una vera e propria traccia: è come suonare una sinfonia e, magari, cancellare tutta la parte dei violini, sostituendola con qualche altra cosa. Io sto parlando della musica della voce umana che in questo modo viene persa, mentre, invece, è qualcosa di molto importante.
S.R. Esistono problemi anche nella recitazione, perché vai al doppiaggio e non ti rispondi più, non parli più e ognuno parla per i cavoli suoi e quindi anche le relazioni tra i personaggi a volte sono totalmente diverse, sembra che non si rispondono neanche, non si ascoltano: però questo è un problema che abbiamo noi in Italia...
