Go Go Tales

Abel Ferrara accarezza corpi che sensuali danzano e con delicatezza gira intorno ai loro sogni e desideri, senza nasconderli e senza mai egli stesso nascondersi, rimanendo loro addosso, sempre, con amore e rispetto. Quello stesso rispetto che è da tributarsi al gioco rappresentato da questa ’black comedy’ così ’screwball’, perfetto luogo mentale nel quale ambientare le magie del cinema di un tempo: tempo riattualizzato e reso proprio da uno sguardo che è fra i più anarchici creatori di forme cinematografiche degli ultimi decenni, simbolo di una New York che è e rimarrà sempre come un luogo interiore che si può vedere, sentire e ascoltare, anche fra quattro mura tirate su a Cinecittà.
E che gioco sia, quindi, per questo assai delizioso film presentato fuori concorso a Cannes 2007, ambientato nel club ’Paradise’, un ’go go’ cabaret a Downtown Manhattan, locale esclusivo dove si esibiscono molte spogliarelliste (tra cui Asia Argento, Bianca Balti e Stefania Rocca), fabbrica dei sogni gestita da Ray Ruby (uno splendido Willem Dafoe), direttore talmente indebitato da doversi giocare gli ultimi spiccioli in un sistema infallibile, nel tentativo di sbancare la lotteria e i suoi 18.000.000 di $ di premio e di evitare il tracollo della sua creatura, che inesorabile si annuncia prima dell’alba. Ma la vittoria giungerà: solo che fra i molti biglietti giocati non si troverà quello vincente. Eppure la notte sarà ancora molto lunga.
È evidente come Go Go Tales sia una riflessione sul cinema e sul mestiere del guardare e del creare quel ben determinato sguardo, la cui magia si lascia rimirare per intrattenere i sensi degli spettatori. ’The show must go on’, perché Ray è un sognatore sempre gentile, in particolare con quelle che considera come degne rappresentanti dell’Arte dello strip-tease, arte in cui solo lui sembra credere. Solo che è un regista con molte difficoltà ad essere rispettato dal suo cast, sull’orlo dell’ammutinamento a causa dei continui ritardi nei pagamenti.
La lunga prima parte è pervasa da una regia dominata dal movimento, circolare come quello di un corpo di donna che rotea intorno a un palo da lap-dance, o che lascia ondeggiare i fianchi di fronte allo sguardo estasiato e desiderante di un uomo, il cui corpo deve rimanere seduto, costretto a una attonita immobilità. Tutto procede secondo un accumulo di situazioni assai divertenti, sulla scia delle convenzioni della commedia, mostrando indubbie capacità di regia e di sceneggiatura che sanno tenere ben alto il ritmo, con brio. In più, alcuni monitor lasciano trasmigrare immagini della quotidianità del locale, sulla quale si posano gli occhi del regista Ray, immagini che si vanno ad aggiungere a quelle ’più reali’ filmate da Ferrara, alimentando ancor più, così, quel coacervo di parole, suoni e colori senza sosta che è il mondo racchiuso dentro le mura del club e della minuscola porzione di strada sul quale si affaccia, ultimo limite prima di entrare nel tipico ’Horror vacui’ ferrariano. E il movimento frenetico porta anche una certa sperimentazione formale, pur rimanendo il film, per il resto, alquanto all’interno dell’alveo tracciato dalla commedia (senza alcuna apparente volontà di destrutturazione, come, ad esempio, nel recente e ben diverso Il grande capo di Lars von Trier). Nella seconda parte Go Go Tales acquisisce una inaspettata linearità, così come le luci cambiano, divenendo più fredde e meno inebrianti: è il momento in cui il ’Paradise’ diventa luogo (ma solo il giovedì, a ora tarda) per l’esibizione di chi cerca veramente l’Arte (ma senza distinzione tra ’alta’ e ’bassa’), magari con la speranza di essere notati da un impresario, momento in cui anche i reclusi potranno avere un altro tipo di pubblico, che desideri guardarli senza il desiderio di toccarli, sfiorandoli non solo con lo sguardo, ma anche con la meditazione propria del pensiero. Non più solo Corpo, quindi. Eppure la circolarità, eterno simbolo di perfezione (in special modo religiosa e spirituale) non può essere abbandonata e, per l’appunto, ’torna’ grazie a un finale beffardo che apre un orizzonte sotto il quale si profila un nuovo inizio per l’intera vicenda, provocando un movimento inarrestabile, come se non fosse possibile sfuggire al Paradiso in terra, affinché il gioco continui, unendo la Carne e lo Spirito, raggiungendo una terra senza reale perdizione, più che in tante altre opere ferrariane.
Solo Riccardo Scamarcio è apparso fuori luogo all’interno di un cast del tutto eccezionale, avendo forse pagato più di altri il problema di essersi dovuto doppiare dopo aver recitato in inglese. Ma, a pensarci su bene, l’attore pugliese ha interpretato un giovane dottore che non riesce ad apprezzare appieno il folle mondo nel quale ha messo piede, un Eden dal quale verrà cacciato, accompagnato da un certo dispregio verso le sue motivazioni (del personaggio, non dell’interprete).
(Go Go Tales); Regia, soggetto e sceneggiatura: Abel Ferrara; fotografia: Fabio Cianchetti; montaggio: Fabio Nunziata; musica: Francis Kuipers; scenografia: Frank De Curtis; costumi: Gemma Mascagni; interpreti: Willem Dafoe (Ray Ruby), Roy Dotrice (Jay), Bob Hoskins (Il barone), Matthew Modine (Johnie Ruby), Asia Argento (Monroe), Stefania Rocca (Debbie), Bianca Balti (Adrian), Riccardo Scamarcio (Dottor Steven), Anita Pallenberg (Zia Sin); produzione: Bellatrix Media, Go Go Tales Inc., De Nigris Productions; distribuzione: Mediafilm; origine: U.S.A. 2007; durata: 100’; web info: sito ufficiale.
