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Happy go lucky - La felicità non costa niente

Pubblicato il 5 dicembre 2008 da Giovanella Rendi


Happy go lucky - La felicità non costa niente

Rientrata nel frattempo nei suoi classici binari di impegno politico (i crimini di Abu Ghraib in Standard Operating Procedure di Errol Morris) ed esotismo d’autore (il coreano/rohmeriano Night and Day di Hong Sangsoo), la Berlinale è stata attraversata oggi da una brezza di sorridente levità grazie alla nuova opera di Mike Leigh. Difficile trovare una definizione appropriata per Happy go lucky, un film che mantiene le promesse insite nell’ottimismo del titolo, se non forse l’abusato e riduttivo “commedia sentimentale”, che però porta inevitabilmente con sè una sorta di implicito disprezzo o quantomeno di condiscendenza. Happy go lucky è appunto la storia di una persona solare, colorata, felice della sua esistenza, capace di trovare un elemento di umorismo in ogni situazione e di sdrammatizzare le tensione degli altri. Poppy ha trent anni, vive con un’amica e dopo aver girato il mondo ha deciso di fare la maestra elementare; è forse piuttosto infantile, talvolta magari irritante nel suo apparente e continuo non prendere nulla sul serio, tuttavia proprio la sua capacità di rapportarsi in maniera diretta ed empatica con le persone che la circondano (in particolare i bambini) fa sì che riesca a vedere oltre la loro apparenza e nel caso arrivare alle loro ferite, cercando di curarle. Non coltiva inutili illusioni ma si preoccupa continuamente dell’armonia intorno a sè, smussando ogni possibile spigolo nonostante anche lei soffra di solitudine.
Il film, va detto, sul piano narrativo è pericolosamente in bilico verso Il favoloso mondo di Amelie Poulain, tuttavia a salvare il tutto dal rischio di iperglicemia interviene il mestiere di Leigh, e all’estetica post-moderna di Jean Pierre Jeunet si sostituisce la solida tradizione britannica di un cinema che è prima di tutto “sociale” (anche se forse si poteva contenere qualche eccesso policromo di una scenografia che si immagina debba rappresentare lo stato d’animo della protagonista). Ovviamente non mancano le ombre nel mondo di Poppy, ma invece dei rovelli sentimentali propri e altrui di Amelie, si tratta di precisi problemi sociali, e dalla superficie del mondo-giocattolo emergono storie di bambini sottoposti a violenze e adulti infelici e soli, che cercano di distrarsi facendo lezioni di ballo o saltando sul tappeto elastico.
Il punto di forza di Happy go lucky sta soprattutto nel ritmo della sceneggiatura (quasi un tempo di valzer, annunciato dalla colonna sonora iniziale) e nei dialoghi brillanti ma privi di forzature, che chissà come saranno resi nel doppiaggio italiano. La reazione della stampa internazionale è stata assolutamente entusiasta, almeno a giudicare dalle continue risate in sala, ma è possibile che dopo l’ondata emotiva emergano qua e là delle piccole e gratuite strizzate d’occhio allo spettatore, come ad esempio l’insegnante di flamenco che è una caricatura di tutti i luoghi comuni sugli spagnoli e l’incontro eccessivamente sentimentale con un clochard un po’ folle. Se dopo la crudezza di Naked, i segreti e le bugie della working class inglese di ieri e di oggi (All or nothing, Vera Drake) Leigh ha deciso di prendersi una vacanza, siamo ben felici di accompagnarlo, purchè non duri troppo.


CAST & CREDITS

(Happy go lucky); Regia e sceneggiatura: Mike Leigh; fotografia: Dick Pope; montaggio: Jim Clark; musiche: Gary Yershon; interpreti: Sally Hawkins (Poppy), Alexis Zagerman (Zoe) Andrea Riseborough (Dawn), Eddie Marsan (Scott), Sinead Matthews (Alice); produzione: Thin Man Films; origine: Gran Bretagna 2008; durata: 118’


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