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Himizu

Pubblicato il 6 settembre 2011 da Giovanna Branca


Himizu

Il punto di partenza sono le macerie. La devastazione del Giappone post Fukushima arriva sugli schermi con un brevissimo scarto temporale rispetto ai tragici fatti di questa primavera. Anche per questo non è possibile esprimere giudizi netti – ed è impossibile non rimanere confusi – davanti a Himizu di Sono Sion, in concorso al Festival di Venezia 68 e tratto da un manga di Minoru Furuya. Visivamente molto ricco, come spesso accade nel cinema nipponico, Himizu non è esente da sbavature – soprattutto per l’eccessiva lunghezza e confusionarietà – né da un tono troppo esasperato, che incrina l’efficacia del tutto. Il film e la sua composizione a tratti disordinata raccolgono però tutto il dolore e lo sgomento causati dallo tsunami e dal disastro nucleare, e li riversano sullo schermo senza la possibilità di dare una strutturazione chiara a ciò che, per forza di cose, è e sarà a lungo un fatto eminentemente emotivo. Ciononostante l’opera di Sono Sion dà delle chiavi di lettura, e cerca anche di abbozzare qualche risposta e seminare una speranza nel futuro.
Sumida è sopravvissuto insieme alla famiglia – una madre completamente assente e un padre violento che lo odia e lo vuole morto per avere i soldi dell’assicurazione – allo tsunami, e miracolosamente si salva anche la piccola casa da cui lui e la madre noleggiano barche a pescatori e turisti. Al suo fianco un gruppo di sfollati che vivono con le tende nel suo giardino e la compagna di scuole medie Chazawa, follemente innamorata del protagonista e disposta a tutto per aiutarlo.
Cercare di rendere conto della trama di Himizu non è però possibile: gli eventi seguono una china del tutto surreale e simbolica, facendo di questo nucleo di persone il simbolo del Giappone che fu e – forse - verrà. In primo luogo ci sono i genitori irrealmente cattivi, che vorrebbero vedere morti i propri figli. E’ la generazione che ha condannato la propria prole al disastro ad essere messa in scena attraverso questa astrazione: coloro che hanno avallato le politiche economiche sfociate in una tragedia molto più prevedibile di quanto si sia voluto ammettere. Poi c’è il mondo circostante, crollato in un vuoto di valori che rende la gente criminale, le strade piene di follia omicida. Ed infine c’è la generazione a cavallo tra il passato e il futuro, privata di ogni orientamento e gravata anche dall’arduo compito di trovare la strada verso una possibile rinascita. Da un lato sta il cedimento alla disperazione: il desiderio di autoannullarsi o di cedere alla follia circostante. Dall’altro c’è la lotta per credere che possa venire un domani in cui il Giappone saprà riconoscersi e rinascere dal lutto. In un mondo che ricorda le visioni apocalittiche del McCarthy di La strada – in cui le madri mangiano i propri neonati per placare la fame, e ciononostante in un piccolo bambino sopravvive l’innocenza – il giovane Sumida si trova a incarnare al contempo tutta la confusione e al tempo stesso speranza del proprio paese, che, sembra dirci il regista, sta nel non arrendersi e nell’avere il coraggio di prendere le giuste decisioni. Al di là di ogni retorica sul Giappone in ginocchio che eroicamente si rialzerà.


CAST & CREDITS

(Himizu) Regia: Sono Sion; sceneggiatura: Sono Sion ; fotografia: Sohei Tanikawa ; montaggio: Junichi Ito; musica: Tomohide Harada; scenografia: Takashi Matsuzuka ; interpreti: Shota Sometani, Fumi Nikaidou, Tetsu Watanabe, Mitsuru Fukikoshi; produzione: GAGA Corporation; distribuzione: Fandango; origine: Giappone; durata: ’.


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