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Home

Pubblicato il 30 gennaio 2009 da Marco Di Cesare


Home

«Questa volta arrivano? Sono dieci anni che è così».
«Cosa ti aspettavi...? Che rimanesse una pista ciclabile per sempre?»

È stata presentata a Cannes 2008, nella sezione ’Semaine de la critique’, questa dolce sorpresa realizzata da una giovane donna, la regista franco-svizzera Ursula Meier, che ha come protagonisti principali Isabelle Huppert e Olivier Gourmet, ossia Marthe e Michel, marito e moglie che vivono assieme ai figli, le adolescenti Judith e Marion e il piccolo Julien. La loro è una famiglia normale, più di tante altre, soprattutto perché sembra innervata da un forte rispetto e da tanto amore. Sentimento questo che si lascia ascoltare con ancora maggiore forza, nella loro casa immersa nel silenzio di una radura percorsa da un tratto di autostrada asfaltato da dieci anni, ma non ancora aperta al traffico automobilistico. Le loro giornate scorrono così placide: Michel va a lavorare su un’automobile parcheggiata dall’altro lato della strada, Marthe è calata nel ruolo di madre, Marion e Julien vanno a scuola valicando ogni giorno il nastro grigio, mentre la sensuale e disinibita diciottenne Judith ama trascorrere le giornate sdraiata a prendere il sole in bikini, fumando di continuo e ascoltando musica metal. Tutto scorre quasi come se l’asfalto non esistesse, come se fosse un’estensione del loro giardino, il loro personale parco giochi: perché ogni oggetto cambia la sua essenza a seconda di come viene utilizzato, fino a poter perdere la funzione per la quale era stato inizialmente progettato. Ma un giorno la civiltà irrompe anche in quell’isolato angolo di paradiso, cambiando le abitudini, rendendole di certo più pericolose e facendo sgorgare alcuni dissidi al di fuori delle ferite nascoste appena sotto la superficie di un nucleo forse non così coeso quanto si poteva inizialmente immaginare.

È molto interessante lo spunto iniziale di Home: grazie ad esso la Meier può mostrare una indubbia capacità nell’utilizzo del mezzo cinematografico, alla ricerca della continua (a)normalità, restituendo un amalgama di conflitti che innervano l’intero film, la sua componente drammaturgica come quella audiovisiva, arricchendo una pellicola che vive dell’alternarsi e dell’opposizione tra spazi diversi (l’esterno vs. l’interno della casa, dove il fantasma d’asfalto continua ad aleggiare) e tra elementi sonori conflittuali (la quiete che si alterna alla musica diegetica), mentre alla staticità della mdp fa da pendant, nel finale, la ricerca di una via di fuga verso una negata illimitatezza, sulle note di Wild Is The Wind cantata da Nina Simone, che scorre lenta per quanto la mdp corre via veloce.
Home è tutto un gioco di generi, di scontri, incontri e contrasti tra i diversi elementi che compongono qualsiasi nucleo famigliare: quello qui rappresentato, così come il Cinema nella sua totalità. Perché la Meier sa rappresentare i conflitti che nascono dalla frizione delle varie personalità. Ad esempio l’insicura e goffa Marion, felice solo della sua esibita intelligenza, ma incapace di provare anche un minimo a reagire in modo costruttivo, impaurita fino all’estremo dagli effetti dell’inquinamento sul fisico e sulla natura. Oppure la reazione di chiudersi in casa che colpisce l’intera famiglia - tranne un suo componente - convinta che erigere un muro tra sé e il mondo possa salvarli dalla rovina, in tal modo non facendo altro che aumentare il senso di claustrofobia e di una oppressione resa ora fisica e totalmente tangibile.
La Meier riesce a creare un’opera ben equilibrata toccando vari registri, dalla commedia al grottesco, graffiando con un’amara ironia e con una certa mestizia, colpendo attraverso quel po’ di violenza che è sottesa a qualsiasi famiglia, irrorando tutto con elementi horror e fantascientifici, alla ricerca di una esibita e familiare estraneità che ben si adatta a un paesaggio comunque lunare, terra vergine – o comunque ridiventata tale a causa della sparuta presenza umana – elemento da attraversare, segnare e conquistare come in un western, in sella a tanti cavalli di ferro, dove sono sempre i cow-boy a esiliare i nativi: ossia la Cultura (di massa) che sconfigge la Natura. E riveste perciò un’importanza vitale l’assunzione di un ben specifico punto di vista: difatti per tutto il film la mdp inquadra gli automobilisti e le loro infernali macchine sempre dall’esterno, definendole così in quanto estranee ed aliene. Solo quando la famiglia proverà a lasciare quell’inferno, ad abbandonare la sua dolce dimora fuggendo su di una quattro ruote, la mdp tenterà un timido avvicinamento a quelle lamiere, senza mai però inquadrare il mondo dall’interno dell’abitacolo. Nel fulminante finale però, come già accennato, la cinepresa correrà via in lontananza, come se fosse essa stessa diventata un’automobile, in direzione opposta a quella seguita dalla famiglia che cammina nei pressi di quella strada lungo la quale è ormai divenuto facile lasciar cadere i propri sogni. Forse.
Questo movimento inaspettato chiude un film il cui maggiore pregio risiede proprio nel rendere familiare ciò che si allontana dalla norma, ossia quelle figure ribelli qui rappresentate, ma mostrando come ogni comunità umana si regga su basi tutt’altro che solide e di come possa bastare poco a far vacillare le convinzioni e la vita di chiunque. E la talentuosa regista lascia aperta ogni ipotesi, riuscendo ad allargare il proprio sguardo senza limitarlo con restrizioni di alcuna sorta, rappresentando l’intero cosmo grazie a un’unica sua minuscola particella.

Conferenza stampa con Isabelle Huppert e Ursula Meier


CAST & CREDITS

(id); Regia: Ursula Meier; sceneggiatura: Ursula Meier, Antoine Jaccoud, Raphaëlle Valbrune, Gilles Taurand, Olivier Lorelle e Alice Winocour; fotografia: Agnès Godard; montaggio: Susanna Rossberg, François Gedigier e Nelly Quettier; interpreti: Isabelle Huppert (Marthe), Olivier Gourmet (Michel), Adelaïde Leroux (Judith), Madeleine Budd (Marion), Kacey Mottet Klein (Julien); produzione: Box Productions, Archipel 35 e Need Productions; distribuzione: Teodora Film; origine: Svizzera, Francia e Belgio 2007; durata: 97’; web info: sito italiano.


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