I am not him
Presentato in concorso in questa ottava edizione del festival capitolino, Ben o değilim (meglio conosciuto come I am not him) del regista turco Tayfun Pirselimoglu porta in scena la trasformazione esistenzialista dell’individuo e il suo lento degrado di fronte al dramma umano. Nihat è il protagonista della vicenda mentre Ayse è la bella e giovane collega verso cui si dirigono le sue attenzioni furtive. I due, tra una pausa lavorativa e l’altra, si scrutano, si osservano e cercano di entrare in contatto nonostante degli impedimenti di natura caratteriale impediscano all’uomo di farsi avanti con decisione. Contatto che finalmente avviene a seguito di un invito a cena che Ayse riesce a strappare alla timidezza dello schivo Nihat. Da qui in poi nasce una storia d’amore intensa ma delicata che cresce con il passare del tempo tramutandosi lentamente in una morbosa liaison dalle tinte inquietanti. A rendere tutto particolarmente complicato c’è infatti l’incombenza del marito della donna, non presente fisicamente perché detenuto, ma vivo dentro di lei a causa dell’incredibile somiglianza tra lo stesso e Nihat. Questo costituisce il germe da cui scaturirà l’involuzione narrata dal film e la scintilla da cui il meccanismo dello “scambio” prenderà vita sino a declinarsi in un paradosso esistenzialista ai limiti del macabro. Per questo motivo il protagonista, a causa di alcuni eventi drammatici ai quali dare risposta, si sentirà quasi in dovere di prendere progressivamente le sembianze di quello che era e considerava, fino a poco prima, il suo alter ego. Attraverso uno stile asciutto e rigoroso e una messa in scena che sottrae elementi invece di aggiungerne, Pirselimoglu costruisce un’opera molto interessante la cui potenza si legge nella caparbietà dei tempi morti e nella sua ostinata perlustrazione della psiche umana. La lenta trasformazione del protagonista viene rappresentata dal regista turco come una lenta agonia in cui l’unica via d’uscita sembra essere la sostituzione totale, lo scambio definitivo, il passaggio di consegne tra l’uomo che “doveva essere” e l’uomo che invece “era” a tutti gli effetti. Per questo la macchina da presa di Pirselimoglu indugia sul suo protagonista, ne scruta i gesti, ne sottolinea i rituali. Si trattiene sullo spazio che lo circonda per sottolineare la sua importanza ai fini di quel cambiamento interiore (ma anche esteriore) a cui egli aspira con violenza. Consapevole che il suo rimane un cinema difficile, poco digeribile per la gran parte del pubblico medio, l’autore mette in campo quella spinta aggiuntiva e coraggiosa con cui proteggere la sua opera. Difenderne i pregi stilistici e strutturali ma anche i difetti. Perché I am not him ha anche difetti, prevalentemente di sceneggiatura (debole in alcuni passaggi e senza troppo spessore in altri), davanti ai quali però l’interesse per l’opera esistenzialista di Pirselimoglu non scema in alcun modo. Il rigore vince sulla lentezza del film, l’immobilismo visivo da apparente sintomo di pigrizia registica si fa cifra stilistica che accarezza lo spettatore e lo avvolge per allietarne una visione insidiosa e pregna di ostacoli.
(Ben o değilim) Regia: Tayfun Pirselimoglu; soggetto: XXX; sceneggiatura: Tayfun Pirselimoglu; fotografia: Andreas Sinanos; montaggio: Ali Aga; musiche: Giorgos Koumendakis; scenografia: Natali Yeres; interpreti: Ercan Kesal, Maryam Zaree, Rıza Akın, Mehmet Avcı, Nihat Alptekin; origine: Turchia, Grecia, Francia, Germania; durata: 129’