I ponti di Sarajevo - Fuori concorso

Proiettato in contemporanea al Festival di Sarajevo e a quello di Pesaro, I ponti di Sarajevo è un’opera collettiva che segna e commemora il centennale dell’attentato all’Arciduca Francesco Ferdinando che diede inizio alla Grande Guerra. Un’opera collettiva, frutto del lavoro di 13 registi, che interrogandosi sulla capitale dell’ex Jugoslavia non può che mettere in scena anche un’altra delle guerre più sanguinose del Novecento: quella dei Balcani seguita alla morte di Tito.
Gli episodi iniziali, tra cui quello dell’italiano Leonardo Di Costanzo, ricordano proprio l’attentato del 1914 – è il caso di Ma chère nuit di Kamen Kalev - indagano la figura dell’attentatore anarchico Gavrilo Princip - Princip, Texte di Angela Schanelec - o ricordano i nostri morti nella prima guerra mondiale, come nel caso del bell’omaggio a Uomini Contro di Francesco Rosi realizzato da Di Costanzo: L’avamposto.
Ma dopo una manciata di episodi la protagonista diventa proprio la guerra dei Balcani, il bombardamento, l’assedio e lo strazio di Sarajevo tra il 1992 e il 1995.
Tra essi spicca Album di Aida Bejic – già vincitrice del Festival di Pesaro nel 2012 con Buon anno Sarajevo - e Silence Mujo, l’episodio conclusivo di Ursula Meier, che mette in scena un incontro fra passato e futuro, tra chi ha vissuto la guerra e un bambino appartenente ad una delle prime generazioni a non averne memoria. Altrove si cita Hiroshima mon amour di Resnais ed il suo celebre “tu non hai visto nulla a Hiroshima” applicandolo all’ex capitale Jugoslava, e lavorando sul ricordo che i profughi hanno dello strazio della loro città. La memoria dei sopravvissuti, quelli che sono rimasti e quelli che sono fuggiti, e la loro ferita insanabile è comprensibilmente al centro delle vicende della maggior parte dei cortometraggi, che si confrontano con una memoria che non cessa di essere fonte di dolore. Tra questi anche l’episodio di Vincenzo Marra, Il ponte, ambientato a Roma ed incentrato su una coppia di esuli che non torna a Sarajevo da 20 anni.
Nella rosa dei nomi non si può fare a meno di citare l’episodio firmato dal maestro Jean-Luc Godard, Les ponts des soupirs, che oppone il sublime dell’arte alla brutalità della norma e della guerra, ma per cui Sarajevo non pare che un pretesto per portare avanti la sua consueta sperimentazione linguistica, tanto che alcune sequenze sembrano provenire direttamente dal film da lui appena presentato a Cannes.
Com’è frequente in questi casi, un film collettivo è disomogeneo nei risultati: ad episodi riusciti, commoventi e stimolanti se ne accompagnano di scialbi e anche insulsi.
Varrà però vedere I ponti di Sarajevo anche per un solo episodio: quello del rumeno Cristi Puiu, Reveillon, che mostrandoci per pochi minuti la semplice conversazione di una coppia di coniugi a letto prima di dormire rende conto dell’odio frutto del pregiudizio che sta dietro ad ogni guerra senza che quasi la guerra venga nominata, senza fare lezioni, senza didascalie o patetismi, ma con una grande lezione di cinema e umanità.
