I PREMI

Probabilmente è il caso di tutti i festival, di lasciare l’amaro in bocca l’ultimo giorno, non tanto perché finiscono, quanto perché sembra sempre che finiscano in maniera sbagliata, ovvero con i premi sbagliati. A Locarno questa sensazione è particolarmente intensa in primo luogo perché non si riescono a captare voci di corridoio su possibili vincitori (mentre in altri festival sì, poco importa che poi vengano clamorosamente smentite) e quindi si può tifare per i propri beniamini fino alla fine, e poi perché a causa della concorrenza spietata dei festival maggiori il numero delle opere da premiare nell’ambito di un’unica sezione non è propriamente infinito. Il fatto che molti registi siano esordienti o quasi conferisce un fascino tutto suo al concorso internazionale, ma molto spesso si tratta di lavori ancora acerbi, seppur promettenti. Ciò premesso, non si riesce proprio a capire come nell’ultima edizione guidata da Irene Bignardi la giuria, capitanata da Vittorio Storaro e che vedeva tra i suoi membri anche Tsai Ming Liang e Aparna Sen, possa aver scelto di premiare l’americano Nine Lives (in uscita anche in Italia all’inizio di settembre). Diretto dal colombiano Rodrigo García (figlio dello scrittore Garcia Marquez), il film è costituito da nove cortometraggi dedicati ad altrettanti personaggi femminili, quasi un copia e incolla da Le cose che so di lei da lui diretto nel 2000, con l’unica differenza che qui ogni episodio è racchiuso in un unico piano-sequenza. Come se non bastasse a tutte e nove le attrici (tra cui Holly Hunter, Sissy Spacek, Glenn Close, Robin Wright-Penn) è andato il premio per la migliore interpretazione, mentre se di una cosa proprio non si sentiva la mancanza in questa 58º edizione eranno personaggi e interpretazioni femminili di grande intensità (ben quattro solo nel canadese Familia, beniamino del pubblico e di buona parte della critica). Più originale e interessante è stato il premio speciale della giuria all’estetizzante e geometrico nippo-francese Un couple parfait diretto da Nabuhiro Suwa, e nulla da eccepire sul Pardo d’argento a Fratricide del regista turco-tedesco Ylmaz Aslan. Si torna invece ad un certo politically correct nell’assegnazione dei Pardi per le migliori opere prime o seconde a due film privi di sorprese e molto ben costruiti come 3 Grad kälter di Florian Hoffmeister (Germania) e Ma Hameh Khoubim - We are all fine (Iran). Il premio per la miglior interpretazione maschile è andato a Patrick Drolet, protagonista di La neuvaine di Émond, decisamente una delle opere migliori del concorso insieme all’altro grande escluso, la raffinata trasposizione da Michel Tournier Vendredi ou un autre jour di Yvan La Moine. Tanto per non farsi mancare nulla sono state attribuite anche delle menzioni speciali: per l’atmosfera visionaria a The piano tuner of eartquakes dei Quay Brothers di produzione Terry Gilliam (una delle più clamorose delusioni) ma forse l’avrebbe meritato di più la spettacolare creatività di Mirrormask di Dave McKean, e ancora per le loro eccezionali interpretazioni ai piccoli Marco Grieco (La guerra di Mario di Antonio Capuano) e Xevat Gectan (Fratricide). Il pubblico della Piazza Grande, infine, ha premiato la favola francese di ambientazione maghrebina Zaïna, cavaliere de l’Atlas di Bourlem Guerdjou, snobbando invece il divertentissimo Citizen Dog del thailandese Wisit Sasanatieng e l’interessante esperimento tecnico di Rag Time, produzione inglese diretta da Mary McGuckian. Ormai archiviata questa edizione, è stato annunziato chi dirigerà dall’anno prossimo la prestigiosa manifestazione svizzera: dopo quattordici anni di egemonia italiana (prima Marco Mueller, poi Irene Bignardi) lo scettro passa allo svizzero-francese Frédéric Maire. Al nuovo direttore i migliori auguri di buon lavoro dalla redazione di Close-Up.
Per ulteriori informazioni consultare il sito ufficiale del Festival: www.pardo.ch
[13 agosto 2005]
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