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I sogni segreti di Walter Mitty (Conferenza stampa)

Pubblicato il 13 dicembre 2013 da Giammario Di Risio


I sogni segreti di Walter Mitty (Conferenza stampa)

Roma, 13 dicembre. È lo stile neoclassico della Sala Torlonia dell’Hotel de Russie a ospitare l’incontro tra i giornalisti e uno dei più quotati attori/registi hollywoodiani delle ultime due decadi, non fosse altro per la sua capacità di ampliare e rinnovare il genere commedia per poi “salvarlo” nell’immaginario collettivo: Ben Stiller. Planato su Roma direttamente da Londra, il nostro è in tour per promuovere il suo ultimo film, I sogni segreti di Walter Mitty, di cui è produttore, regista e protagonista unico. Da quest’ultimo punto, di fatto, la matrice singola del personaggio che percepiamo sin dalla dicitura del titolo, risulta evidente lo scarto con il passato. Stiller sta crescendo e come lui anche coloro che lo hanno apprezzato in commedie geniali dal sapore grottesco o in derive comiche familiari dal tessuto ridanciano. È il tempo della riflessione e come contenitore embrionale Stiller prende i racconti dello scrittore e disegnatore James Thurber (1894 – 1961), che già ispirarono, nel 1947, Sogni Proibiti di Norman Z. McLeod e, nel 1982, Sogni mostruosamente proibiti di Neri Parenti.

Walter è un solitario e da anni lavora per la storica rivista Life, che presto chiuderà i battenti lasciando il mondo cartaceo per quello virtuale. Abituato a sviluppare, montare i negativi delle pellicole fotografiche, egli da sempre interagisce con immagini fuori dal comune, che diventano testimonianza di mondi lontani e affascinanti quanto coscienza di una vita reale, la sua, in perenne stasi e continuamente” schiacciata” dai grattacieli di New York City. Il lavoro, divenuto inesorabilmente precario, sarà il detonatore per far fuoriuscire la sua grande immaginazione e, in un continuo travaso tra realtà e sogno, quest’uomo mite e onesto esorcizzerà la solitudine aprendosi all’esistenza.

Lasciando alla recensione del film l’analisi sul linguaggio, emergono due nuclei principali caratterizzanti l’opera: l’individuo nell’epoca del virtuale e l’impostazione mai cinica del personaggio, che diventa metafora del percorso dello stesso Stiller, la cui maschera non ha più il solo interesse a scatenare l’energia di una risata, viceversa vuole trascinare lo spettatore in spazi lontani e di riflessione. Da qui il mondo della Groenlandia e le sue isole, il deserto e le montagne dell’Afghanistan, sempre caratterizzate da un percorso a doppia mandata: da un lato la forma mentis leopardiana di Walter e dall’altro la ricaduta della stessa nella vita di tutti i giorni, con ciò che ne consegue. Su quest’architrave si è caratterizzato il “campo– controcampo” tra i giornalisti e l’attore.

Quali sono le motivazioni che l’hanno spinta a realizzare un film sul senso della vita mediante la poesia di un personaggio solitario?

Quando faccio un film non perdo mai di vista le coordinate spazio-temporali: dove sono, dove mi trovo e cosa sto vivendo. Il personaggio di Walter significa la mia volontà di interagire in territori nuovi, magari non del tutto congeniali alla mia esperienza di regista, che tuttavia mi stanno lentamente coinvolgendo e infatti questo è il film che mi sta dando le maggiori soddisfazioni. Anche io sono una persona in continua ricerca su me stesso e per questo motivo il respiro del film si allontana da altri miei lavori.

Da dove partono l’idea del personaggio di Walter e la cifra stilistica del film?

È la sceneggiatura che ha dettato lo stile del film: abbiamo una persona che si occupa di immagini realizzate da altri, che lo portano a cambiare la sua traiettoria. Sono le immagini che lui osserva a dettargli una nuova esperienza di vita. Mentre giravo non mi rendevo conto fino in fondo delle potenzialità di questo personaggio, solo durante le fasi del montaggio o dopo le prime proiezioni pubbliche ho compreso la magia di un uomo che dedica tutta la sua vita a osservare una cornice e ciò che essa contiene.

Walter è inoltre un individuo in continuo gioco tra realtà e sogno. Quali sono le sue paure?

Paradossalmente la grande immaginazione diventa una difficoltà nell’interazione con gli altri; Walter ha preso atto della sua condizione precaria ma, a volte, la fantasia che sprigiona non gli consente di comunicare informazioni al mondo esterno.

Può motivare l’atmosfera da dismissione rappresentata dalla parabola della storica rivista Life?

La mia generazione ha vissuto gli anni delle continue novità: il primo computer, il primo telefonino e via dicendo. Ora siamo fagocitati dal digitale e dal virtuale, dove tutto è incastonato all’interno di uno schermo e con le immagini che bombardano la fruizione con virulenza. Prima di realizzare il film sono andato negli archivi di Life e ho toccato i numeri degli anni Quaranta avendo come la percezione di tenere in mano dei documenti storici. Queste emozioni non possono essere comprese pienamente dalle nuove generazioni, abituate a interfacciarsi con una miriade di informazioni che devono portare ad una soluzione immediata, veloce e che alberga in una realtà parallela. Questa mia storia è anche un omaggio a chi, con la memoria, vuole rituffarsi nel passato.

Il passato rappresentato dalla pellicola?

Sì. Nel film Walter lavora con la pellicola, dovrà risolvere l’intreccio recuperando un negativo andato perduto e personalmente avevo bisogno, questa volta non come attore ma come regista, di girare con quel materiale che è continuamente minacciato, contrastato dal digitale.

L’incontro è stato moderato dal critico cinematografico Francesco Alò, e ha proposto uno Stiller, in completo scuro e camicia grigia, rilassato e partecipe. Finite le domande il nostro si è fermato con i giornalisti a firmare alcuni autografi prendendo poi la via dell’uscita scortato dalla sicurezza. Una scelta coraggiosa la sua in un momento, passaggio artistico fondamentale per la sua carriera e foriero di spunti per i tanti appassionati che lo seguono dai tempi di Giovani, carini e disoccupati.

I sogni segreti di Walter Mitty uscirà nelle sale italiane il 19 dicembre.


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