Identikit di un delitto

Ogni gregge ha il suo pastore. Ma il gregge - The Flock recita appunto il titolo originale - di Errol Babbage è composto di sole pecore nere, su cui l’instancabile funzionario statale non cessa per un momento di vegliare, convinto della loro irrecuperabile malvagità, consapevole soprattutto che uccidere o seviziare non sia stata per questa gente una contingenza ma l’unica possibile espressione di vitalità.
L’assunto che muove Identikit di un delitto - incursione, produttivamente travagliata, nel cinema americano del cineasta hong-kongonese Andrew Lau - non sarebbe del tutto scontato. Sembrava anzi, che l’interno del grezzo blocco marmoreo potesse contentere una virtuale scultura che mani più esperte avrebbero forse saputo tramutare in un’opera d’arte, mentre gli artigiani coinvolti nel progetto hanno assolutamente mancato l’occasione, abbandonando la pellicola al facile destino di un intrattenimento poliziesco di stampo televisivo che solo a tratti riesce ad offrire qualche lampo di originalità.
E sì che lo script di Hans Bauer e Craig Mitchell pareva davvero nelle corde del cineasta di Infernal Affairs, alle prese con un’altra storia dal rapporto osmotico tra Bene e Male, tra giustizia e criminalità, i cui confini sfumano sempre più a seconda del codice etico cui rispondano o meno le azioni dei tutori della legge.
La scarsa riuscita di Identikit di un delitto sembra invece confermare l’impressione che, fuori da Hong Kong, molti importanti cineasti asiatici (ci sentiamo di includere nell’elenco anche l’intoccabile Wong Kar Wai) smarriscano quei punti di riferimento che impreziosiscono le pellicole girate in patria, cadendo nel tentativo di occidentalizzare ancor di più il proprio sguardo (che comunque già di cinema occidentale si era nutrito) abusando di effetti à la page o ricalcando la propria estetica con esiti di auto parodia.
Certo, non possiamo sapere quanto ci sia del tocco di Lau nella versione del film arrivata in sala (data anche la presenza di un regista non accreditato che avrebbe ultimato le riprese); la prima parte del film è, però, pesantemente segnata da uno stile di ripresa insicuro, che facendo incetta di ogni possibile artificio di editing, come i continui jump cut e overlapping sonoro, nel tentativo di affermare la propria visionarietà, non fa che attestare l’evidente disagio del regista nei confronti di un materiale di partenza certo non originale - siamo di fronte all’ennesimo giustiziere del cinema americano - ma che certe modalità di ripresa fanno apparire ancor più datato.
E’ proprio l’elementarità della pellicola a stupire in negativo, il suo tentativo di muoversi nel territorio del thriller psicologico pescando a piene mani dalle suggestioni sulla fascinazione del male offerte a suo tempo da Il silenzio degli innocenti (e parliamo appunto di un film del ’91), che non traspaiono mai da un’atmosfera sottilmente inquietante, capace di infiltrarsi sotto pelle, come avveniva per la pellicola di Demme, ma tutt’al più spiattellando (per chi ancora non ci fosse arrivato) come sia inevitabile per chi è “sempre costretto a guardare l’abisso” esserne prima o poi risucchiato. Il protagonista di questo The Flock è, infatti, un altro degli infiniti antieroi, disturbati e ossessivi, raccontati con esiti differenti dal mare magnum del poliziesco/thriller/noir d’oltreoceano. Un filone capace di ritratti di impressionante grandezza, quando affidati a registi di classe (pensiamo all’Henry Caul del coppoliano La Conversazione o l’Harry Moseby di Bersaglio di notte di Arthur Penn…) ma anche di stordire a colpi di banalità, di farsi cliché inesorabilmente vuoto.
Nel caso di The Flock, se il rischio è in parte aggirato è soltanto merito di Richard Gere, corpo invecchiato e imbolsito, ma ancora in grado di lasciar filtrare una parte del suo ombroso fascino, riuscendo a creare un’alchimia erotica, non tanto con la giovane collega Claire Danes - graziosa quanto inessenziale - ma con la sadica assassina dalle fattezze fragili e delicate (la convincente Kaddee Strickland). È la loro complementarietà, il loro annusarsi e inseguirsi a distanza l’unico elemento di interesse del film, visualizzato nel finale attingendo a un immaginario prettamente orrorifico che cita, in maniera più che evidente, quelle case sperdute della provincia americana dove si consumano carneficine truculente, invisibili agli occhi del mondo. Peccato che questa trovata da New Horror, visivamente efficace, narrativamente accattivante, sia una svolta eccentrica in un film che muove su altre basi.
Un rimando fuori contesto che, sommato al pot pourri di generi confusionario messo in atto da Lau e soci, fa davvero di Identikit di un delitto un perfetto esempio dei pericoli del citazionismo e della cinefilia fini a sé stessi.
Fabiana Proietti
(The Flock) Regia: Andrew Lau; sceneggiatura: Hans Bauer, Craig Mitchell; fotografia: Enrique Chediak; montaggio: Martin Hunter, Tracey Adams; musiche: Guy Farley; interpreti: Richard Gere (Errol Babbage) Claire Danes (Allison Lowry) Kaddee Strickland (Viola Gerarg) Russel Sams (Edmund Grooms) Ray Wise (Bobby Stiles); produzione: Templar Films, Lucky 50 Productions, Gibraltar and Productions LLC, Double Nickel Entertainment, Bauer Martinez Studios; distribuzione: 01 Distribution; origine: Usa 2007; durata: 101’; web info: sito ufficiale
