Il capitale umano
Proviamo a immaginare il film senza titoli di testa né di coda. Chi sarebbe stato così bravo da scorgere in Virzì l’autore di questo gelido e meraviglioso Il capitale umano? Non c’è traccia della morbidezza acida con cui l’autore è solito schiaffeggiare il nostro malcostume; non c’è la risata impietosa con cui abitualmente inorridisce davanti all’amaro presente nazionale. Non v’è sentiero di commedia all’italiana, se non in naufraghi e inafferrabili momenti: nella riunione del consiglio di amministrazione per il teatro, o in certe facce goffe e certi affanni di Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio). Attimi, che però subito affogano nell’inquietudine che domina questo dramma affilato, ghiacciato e limpido, che agguanta all’improvviso modelli insoliti per il regista livornese: Chabrol, per dirne uno, o il noir più in generale, poco italiano ma felicemente adattato ad ospitare un film che di brianzolo ha solo l’ambientazione, la cornice visiva, gli spazi. E di brutto e credibile italiano ha tutto il resto: la condizione di un Paese avvelenato dai padri, che i figli ereditano in codice rosso. Dell’amore di Virzì per i giovani, a proposito, rimane la bellezza di Serena, luminosa e intelligente, forte e libera tanto da innamorarsi della pecora nera del paesotto benestante, che poi ha un cuore grande che batte fortissimo sopra quella dimensione ordinata e cupa. Dentro Serena c’è Matilde Gioli, profondamente brava a dare sangue a un personaggio schierato dalla parte dei Piero Mansani di Ovosodo, della piccola Caterina di Caterina va in città, della Marta di Tutta la vita davanti, dei recenti Guido e Antonia di Tutti i santi giorni: i giovani tenaci e soli di Virzì, puliti e veri, con la testa vigile sopra i guai e la miseria dei contesti. Gli adulti del film, invece, i brutti de Il capitale umano (liberamente tratto dal romanzo omonimo di Stephen Amidon), sono tratteggiati con preziosa cura dal regista e dai suoi sceneggiatori Francesco Piccolo e Francesco Bruni, già collaboratori (più o meno storici) di quello che è ormai uno degli autori più importanti della storia del cinema italiano. Le loro penne stratificano e rendono complessa la negatività dei personaggi di questo thriller bifamiliare. Quelle del film sono creature credibili perché non totalmente schiacciate verso una bruttezza disumana. Stanno invece su un confine che le rende ancora vagamente vive, anche se irrimediabilmente contagiate da una profonda cancrena. Sono l’umanità malata che inabissa l’italia, sofferente lei stessa, con una consapevolezza della propria condizione che affiora nei silenzi, negli sguardi, nella rabbia improvvisa. A parte Roberta (Valeria Golino) psicologa impotente e spaesata spettatrice del dramma, gli altri, Carla, Giovanni e Dino, hanno tutti qualche coscienza di sé, anche se poi si voltano dall’altra parte tutte le volte che il dolore bussa, costretti a farlo per tenersi a galla. E’ la differenza tra stereotipo e personaggio, la differenza tra un brutto ed un bellissimo film. Dall’elegante e controllatissimo squalo della finanza (Fabrizio Gifuni), all’immobiliarista indemoniato di affermazione, poi sbranato dal fallimento (Bentivoglio), fino alla ricca donna in crisi di valori e senza più punti di riferimento (Valeria Bruni Tedeschi), nessuno di loro è sradicato dalla realtà e dalla vita. Nessuno di loro è così mostro da macchiarsi di un crimine atroce: in fondo non uccidono, non rubano, non mandano in galera un innocente per salvare un colpevole. Soltanto vivono in un infinito vuoto di valori che fa di quella "bella gente" una grande bruttezza, e del loro agire un lento e continuo crimine morale. Non amano che il danaro e il potere, a pensarci bene. Ci vuole un po’ per metterli a fuoco, per comprendere la loro natura e la loro deriva, perché si nascondono, depistano, si mascherano. Ma mentre lo fanno respirano, "esistono", diventano cuore e polmoni di un film costruito sull’unico "3d" che ci interessi al cinema: quello dello spessore dei personaggi. Per altro, il film possiede un fascino visivo indiscutibile, sostenuto anche dalle pazzesche prove degli attori, davvero uno più bravo dell’altro. Che poi Gifuni possa risultare il migliore di tutti, questo è un giudizio soggettivo, anche se crediamo ampiamente condiviso.
Regia: Paolo Virzì; Soggetto: Stephen Amidon (romanzo); Sceneggiatura: Francesco Bruni, Francesco Piccolo, Paolo Virzì; Fotografia: Jérôme Alméras; Musiche: Carlo Virzì; Montaggio: Cecilia Zanuso; Interpreti: Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Bentivoglio, Valeria Golino, Fabrizio Gifuni, Luigi Lo Cascio, Matilde Gioli, Gigio Alberti, Bebo Storti; Produzione: FABRIZIO DONVITO, BENEDETTO HABIB, MARCO COHEN PER INDIANA PRODUCTION COMPANY, IN COLLABORAZIONE CON RAI CINEMA, MOTORINO AMARANTO E MANNY FILM; Distribuzione: 01 DISTRIBUTION